Succession 4x03, Connor’s Wedding, la recensione

L'episodio più potente di Succession è quello che non si poteva sbagliare e il più imprevedibile. La consacrazione della serie

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Spoiler Alert

La terza puntata della quarta stagione di Succession è uno di quei momenti che portano una bella serie a diventare bellissima. Se la serie è già grandiosa, come in questo caso, un episodio del genere la fa entrare di diritto nella storia della televisione. 

Nonostante il centro di questi straordinari 60 minuti siano i personaggi che girano intorno a una notizia importantissima, cercando di capire a cosa credere, come comunicarla e come reagire di conseguenza, è impossibile recensire facendo la stessa cosa. Nelle prossime righe si andrà pertanto dritti al punto, leggete quindi solo dopo aver visto la puntata.

La puntata perfetta di Succession

Logan Roy è morto come accade nella vita vera. In un momento che sembra scelto dal caso, più che dalle esigenze di trama. L’ha fatto fuori scena e a suo modo, come una notizia improvvisa che cambia tutti i piani. Sulla terra c’è Connor che si deve sposare. Lì, per la prima volta in questa stagione, la famiglia spezzata e distante tenta di riunirsi. Su un volo c’è invece il corpo del patriarca esanime che non risponde ai tentativi di rianimazione. Dare la notizia troppo presto causerebbe uno shock nei mercati. Si può ritardare l’atterraggio, ma se ci fosse ancora qualcosa da fare per salvare l’uomo, nelle mani di un medico esperto? E poi, come sarebbe letto dal mondo questa fredda decisione dei familiari?

Mark Mylod dirige il culmine di Succession complicandosi la vita. Può contare solo su un collegamento telefonico, che regola il flusso delle notizie, per fare esplodere questa catena di dramma, cause e conseguenze. Si attraversano tutte le fasi del lutto tra cui la prima, straordinaria, della negazione. Abituati ai giochi mentali, alle manipolazioni, noi come i personaggi ci troviamo a dubitare di ciò che racconta Tom a Shiv. Jesse Armstrong scrive infatti piegando le regole del cinema a suo favore. Perché si creda bisogna vedere la morte, certificare il cadavere. Così per almeno metà del tempo, anche noi sperimentiamo la negazione del lutto. 

Un trionfo permesso da tutti

Un momento del genere non sarebbe potuto arrivare adesso, in questo modo, se Succession non avesse testato in anni le capacità attoriali di tutti: cast primario e secondario. La potenza assoluta della sequenza centrale è possibile perché tutti sono al loro meglio, bravissimi a dire battute riempiendole di un senso che non c’è leggendo semplicemente la sceneggiatura. Quel “non gli sono mai piaciuto” di Connor ha un significato letterale che non c'è in scena. Come lo recita Alan Ruck contiene un altro mondo interiore: come se Logan avesse scelto questo momento solo per privare il figlio della felicità del suo giorno migliore. Come se ci fosse l’intenzione da parte di un uomo sempre in controllo della sua vita, ma non della sua morte. Uno sfogo di rabbia che è invece di dolore.

C’è una storia che passa dentro le reazioni di ciascuno, tutte diverse, personali e contenute. Si lavora in sottrazione, senza musica o enfasi, perché questo colpo di scena serve a portare avanti la storia velocissima, ben più che per un facile effetto emotivo. I funerali generalmente bloccano la trama. Qui invece i modi diversi di affrontare il dolore sono puro sviluppo dei personaggi. Le emotività impazzite creano il conflitto da risolvere in una puntata che raggiunge una tensione pazzesca semplicemente radunando i tre figli intorno a un cellulare. Parlano al padre incosciente come saluterebbero un generale. Devastati dalla notizia, faticano a trovare le parole di affetto che mai si sono scambiati in vita. 

L'episodio porta aria fresca per il finale di serie

Succession raggiunge qui il suo apice di durezza quando rappresenta i mercati come un famigliare a cui comunicare la scomparsa. Devastante l’attesa del doppio corpo del padre: uno di carne, che attende nell’aereo, e uno sotto forma di percentuale, che si manifesta nel crollo dell’azienda. 

Qui c’è la serialità al suo meglio: ovvero poter manipolare la costruzione della stagione e il susseguirsi degli episodi per ottenere il massimo dell’effetto. La morte di Logan era piuttosto prevedibile, in fondo Succession parla proprio di questo, di un’eredità. Impossibile prevedere che sarebbe arrivata ora, dopo due ore della quarta stagione che preparavano uno scenario completamente diverso.

Salta il tavolo nel migliore dei modi, dando a Succession la freschezza di una serie appena iniziata. Si ricomincia da capo, ma tutto è diverso ora che il Re è fuori dai giochi. Jesse Armstrong ci ha portati in un luogo dell’inconscio di spettatori dove solo le grandi serie riescono a muoversi. Ora che è successo di tutto, persino l’impensabile, contro ogni format e formulario, tutto può succedere. 

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