Succede, la recensione

A partire dal libro di Sofia Viscardi, Succede cerca di iniettare del cinema vero in una sceneggiatura davvero troppo pomposa, pesante e ambiziosa

Critico e giornalista cinematografico


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Il solo fatto che Succede possieda un proprio look, uno che non gli viene soltanto dai costumi e dalle grafiche in stile Life is Strange, ma da alcune precise idee di messa in scena, di scenografia, di location e soprattutto di fotografia (ad opera di Valerio Azzali, lo stesso di Questa Storia Qua, Solo, Metti la Nonna in Freezer, sempre di più uno dei migliori direttori della fotografia emergenti), basta ad elevarlo dalla melma dell’anonimato più totale in cui ravanano quasi tutti i film adolescenziali italiani degli ultimi 10 anni. Indistinguibili gli uni dagli altri nella maniera in cui trascurano la componente visiva, hanno abituato il pubblico di riferimento all’idea che il cinema adolescenziale italiano voglia fermamente abbassare il livello del linguaggio cinematografico fino a raggiungere le bassezze delle brutte fiction.

Succede invece è pensato con la voglia di fare un film, pensato per essere un prodotto d’intrattenimento più serio della media, a prescindere da quelli che sono poi gli esiti ideato è creato con l’onesta ed evidente ambizione di fare del cinema bello.

Che Francesca Mazzoleni, al suo primo lungo, abbia cercato di adattare il libro di Sofia Viscardi ritagliandosi un ruolo in quest’adattamento, cercando di fare non tanto “il film del libro” ma il suo film da quella storia, è senza dubbio la componente che fa respirare Succede, trasformando una consueta serie di schermaglie adolescenziali in un racconto cinematografico degno di questo nome.

Il problema del film semmai è la scrittura, non sempre al medesimo livello e affossata da una passione smodata per le frasi pompose che ne distruggono il ritmo. Invece che essere molto agile, divertito e svelto, cioè un prodotto da veri mestieranti, Succede a tratti è pesante e altisonante, come fosse un tomo ponderoso.
La storia poi non aiuta: priva di un intreccio propriamente detto, presenta dei personaggi e cerca di creare e mantenere dei rapporti tra di loro. Sarebbe un modo molto moderno di trattare lo storytelling, puntare a descrivere un mondo e delle sensazioni più che passare per i consueti snodi e le solite situazioni, ma davvero servirebbe tutt’altra scrittura.

Per fortuna, tra una frase pensosa e l’altra, il film lascia intravedere sprazzi creativi, idee che volano più in alto della sceneggiatura (la pista di ghiaccio, la casa sul tetto) e che mescolate adeguatamente alla colonna sonora, agli abiti e alla maniera in cui i caratteri sono recitati, a tratti fanno respirare un’aria da vero cinema adolescenziale, quello in cui i protagonisti sembrano vivere in un mondo a parte rispetto agli altri, uno capace di trasfigurare l’ordinario in poetico solo con la forza dell’ingenuità.

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