Suburraeterna (prima stagione), la recensione

La prima stagione di Suburraeterna punta sui nuovi protagonisti per raccontare la vecchia lotta per il potere nell’Urbe

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La nostra recensione della prima stagione di Suburraeterna, disponibile su Netflix

Tre anni sono tanti, nella vita di un uomo. Tre anni non sono nulla per la città eterna, Roma, che dall’alto osserva il formicaio che pullula dentro di lei. È questo il lasso di tempo trascorso tra la fine di Suburra - La Serie e l’inizio di Suburraeterna, figlia del primo prodotto seriale italiano targato Netflix. Un periodo che corrisponde perfettamente all’intervallo effettivo tra gli eventi narrati nella serie madre e quanto andiamo a vedere negli otto nuovi episodi.

Seppur ereditando diversi volti dal passato, Suburraeterna ce la mette tutta per dimostrare, sin da subito, una propria identità stilistica e drammatica, in accordo con le premesse del brand Suburra. Sparisce la sontuosa spettacolarità che aveva caratterizzato l’esordio della serie originaria, in favore di una fotografia livida che ben si accorda con il grigio orizzonte da cui si muovono i nuovi personaggi. Scompare il giallo acido delle ricche case degli zingari Anacleti, costretti in Suburraeterna a ridimensionare radicalmente i propri fasti.

Quello che resta

Cosa rimane? La sempiterna lotta per il potere qui declinata secondo schemi nuovi. I dissidi famigliari di stampo shakespeariano - o, per palati più semplici, alla Game of Thrones - si trasformano in scontri tra fazioni più ampie, nuclei che si muovono gli uni contro gli altri, collidendo senza soluzione di continuità e rimescolando ininterrottamente le carte. Guardando i nuovi protagonisti di Suburraeterna, si ha la sensazione di osservare bestie mitologiche che cambiano faccia senza sosta. Il rischio, per loro, è non riuscire a trovare una propria identità nell’immenso gioco di menzogne e maschere che fa da traino alla stagione.

Ecco dunque le vecchie glorie - da Spadino (Giacomo Ferrara) ad Angelica (Carlotta Antonelli) a Cinaglia (Filippo Nigro) - permanere in equilibrio sul filo del funambolo che collega la nostalgia del passato alla necessità di evolvere, di cambiare. Unica eccezione è Nadia (Federica Sabatini), ostinatamente arroccata in quella palestra che sembra una gigantesca tomba. Un simulacro solenne, non solo per il defunto Aureliano Adami, ma soprattutto per lei stessa, seppellitasi anzitempo nel ricordo di un’epoca impossibile da resuscitare. Lode a Sabatini per aver saputo impregnare la sua performance con l’eco degli sguardi e della gestualità di Aureliano, al di là dell’evidente omaggio tatuato sul collo.

Ricerca di identità

Tutte le new entry di Suburraeterna sono, come detto, impegnate nella spasmodica ricerca del proprio posto nel mondo, veicolate da un desiderio di affrancamento e rivalsa nei confronti di chi li ha soffocati per anni. Una trinità per nulla santissima, in cui la fogna reclama vendetta contro i vertici dorati. In questo senso, i neo-protagonisti sono la perfetta esemplificazione della grande battaglia che questa serie deve combattere sin dal suo esordio: affermare la propria voce e dimostrare di non essere una copia conforme di quanto venuto prima di lei.

Operazione riuscita? Se l’intento era mantenere intatto il mood generale, infondendo la linfa vitale di nuovi personaggi su un palco che, alla fine di Suburra, era non solo spopolato ma anche annoiato, possiamo dire di sì. La regia di Ciro D’Emilio e Alessandro Tonda, coadiuvata dalle ottime prove del cast di protagonisti inediti, sostiene al meglio una sceneggiatura che, nel suo desiderio di un ritmo incalzante, indulge talvolta nella precipitosità. I momenti di distensione risultano qui figli dell’occhio dei registi, impegnati nel bilanciare l’incertezza sporca della macchina a mano con la purezza solenne e immutabile delle grandi inquadrature fisse, eco della varietà interna delle anime che popolano la serie.

Traiettorie segnate

All’accuratezza riservata ai ritratti psicologici dei protagonisti si contrappone una certa pigrizia nel gestire le dinamiche tra i personaggi; più di una volta si ha l’impressione che gli scrittori abbiano puntato a riempire gli episodi con rotture di alleanze, nuovi accordi violati nel tempo di una sigaretta, in un gioco di pesi di cui diviene difficile tenere traccia. A farne le spese è soprattutto la parte strettamente politica di Suburraeterna, con lo spettro del Nuovo Colosseo a offuscare i reali interessi di Cinaglia e del giovane, ambizioso Ercole Bonatesta (Aliosha Massine).

Il culmine di questa stanchezza trova purtroppo conferma in un finale fiaccato dalla prevedibilità, privo di un autentico cliffhanger che lasci lo spettatore realmente affamato di nuovi episodi. Vale per l’arco narrativo di Alberto/Spadino quanto per quello di Ercole: il germe delle loro decisioni ultime era ben visibile sin dalle prime battute della serie. Ciò che Suburraeterna guadagna in coerenza lo perde, dunque, in sorpresa. Un peccato minore, in linea col senso di tragedia inevitabile che questa prima stagione eredita dal passato del franchise.

Dal basso

Nel costruire il proprio percorso, Suburraeterna mantiene comunque gli occhi puntati sulla scia in cui va a inserirsi; una scia non solo tracciata dalla serie madre e dal film di cui fu spin-off, ma anche da Romanzo Criminale e Gomorra, calati in un contesto che fa della verosimiglianza la propria stella polare. C’è un rispetto malinconico quasi verista nel modo in cui D’Emilio e Tonda dipingono i plumbei ambienti dell’idroscalo; il punto di vista, stavolta, parte dal basso, lontano dalle ville squadrate in cui Aureliano e Livia Adami congiuravano tanto quanto dall’opulenza barocca delle case degli Anacleti.

Permane, su tutto, una cappa di rassegnata condanna all’Inferno, in cui la redenzione è un lumicino sempre più distante che, lo sappiamo sin da subito, è destinato a sparire oltre una fitta coltre di cadaveri. Vale per le figure che conosciamo da anni, certo, ma anche per i nuovi arrivati: per i gemelli Luciani (Marlon Joubert, Morris Sarra e Yamina Brirmi), per Ercole, per la politica Miriana (Giorgia Spinelli) e per il cardinale del popolo, Armando Tronto (Federigo Ceci).

Il fascino della caduta

Ora come in Suburra, “Roma non si governa”; è una chimera indomita, un faro allettante che destina alla rovina chiunque si avvicini troppo alla sua fiamma. Ne sono caduti e ne cadranno ancora, di Icari; a dispetto delle sue ambizioni da reboot, Suburraeterna vince quando dimostra che certe cose non cambiano. I nuovi antieroi che presenta al suo pubblico commettono gli stessi errori dei loro predecessori, logorati da un potere che gli sfuggirà irrimediabilmente di mano; e questo, contrariamente a quanto avessimo preventivato, finisce per rassicurarci invece che deluderci.

Forse è vero che Suburraeterna, al netto dell’inevitabile rinnovamento del cast, altro non è che la quarta stagione di Suburra. Ciononostante, sentiamo finalmente spirare vento sul tetro panorama che la serie madre, nel suo blando arco finale, aveva dimenticato come amare e far amare. Se basterà o meno a dissipare le nubi, sarà il tempo (e l’eventuale rinnovo della serie) a dirlo. Nel frattempo, nella cornice cruenta della serie, Roma e il Male che essa si porta dentro continuano a regnare, fieri e incuranti.

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