Suburra - La serie, prima stagione: la recensione

La nostra recensione della prima stagione di Suburra, in arrivo domani su Netflix

Critico e giornalista cinematografico


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Che ci sia Gomorra dietro Suburra è un dato di fatto (la produzione è la stessa, Cattleya, e la cosa più vicina ad uno showrunner, cioè la produttrice artistica, pure, Gina Gardini) ma è anche un’evidenza stilistica. Suburra è una serie più di luoghi che di persone, come lo è Gomorra; è un racconto di conquista, ricerca e mantenimento del potere in cui combattono i giovani e i vecchi; ed è anche un racconto in costume, in cui c’è tantissima realtà che viene trattata come se fosse finzione.

Il paragone è inevitabile e non gioca a favore di Suburra, specie nelle prime puntate.

Raramente infatti una serie aveva avuto un attacco così moscio e male auspicante. L’inizio di Suburra è un inferno di cattiva recitazione e pessimi momenti da fiction più che da serie tv. Autorizzati a temere il peggio si aspetta e si spera nella fine del lavoro di Michele Placido (al timone solo dei primi due episodi) e per fortuna si viene ricompensati. Il resto della stagione, altri 8 episodi, sarà il tentativo di risalire la china e mettere a posto toni e ambienti, purtroppo riuscito solo a tratti.

Ci sono infatti due Suburra: una è quella che si svolge nella politica e nel Vaticano, quella di Filippo Nigro e Claudia Gerini, il primo interno al comune di Roma, la seconda revisore dei conti in Vaticano, è tutta intrighi e sotterfugi, tentativi di aggirare il sistema, minacce e ideali da tradire o scalate da fare tramite le parole. Ed è un disastro. Non decollerà mai e farà un pessimo uso di volti noti.

La seconda è invece quella delle famiglie criminali Adami e Anacleti, è molto più vicina a Gomorra e marcia a tutto un altro passo.

Le due diverse Suburra sembrano anche avere proprio una scrittura differente, ritmi differenti e ambizioni differenti. Nonostante il team di sceneggiatori sia sempre lo stesso (Daniele Cesarano, Barbara Petronio, Ezio Abbate, Fabrizio Bettelli e Nicola Guaglianone) la prima è più conservatrice e si appoggia spesso ai cliché del cinema, mentre la seconda è molto più moderna e audace.

Questo progetto che inizialmente doveva essere il prequel della vita di Numero 8 (il personaggio di Borghi per come l’avevamo conosciuto nel film), è diventata una storia più grande e corale, in cui in 7 giorni diverse persone, esponenti di diversi poteri, cercano di accordarsi e avere per sé un po’ di spazio nell’affare dell’assegnazione di alcuni terreni di Ostia in cui edificare un nuovo porto e quindi guadagnare. E forse in questo allargarsi ha più perso che guadagnato, perché l’impressione è che ogni volta che torniamo alle storie della famiglia marittima di Aureliano Adami (Alessandro Borghi) o a quella zingara di Spadino (Giacomo Ferrara) la serie trovi l’incastro perfetto, ovvero quel momento in cui la scrittura marcia al medesimo passo delle immagini, della recitazione, dei costumi e dell’ambientazione creando qualcosa che è superiore alle singole parti: una mitologia criminale epica e disperata.

In realtà il protagonista vero è un altro, ovvero il Samurai (Francesco Acquaroli), faccendiere che ha in mano tutti, abile criminale che spara raramente e preferisce minacciare, che sa tutto di tutti e non dorme mai, con evidenti problemi. Lui ha impugno chiunque, è temuto da tutti e fa affari anche con le mafie siciliane, soprattutto collega le moltissime diverse storie.

Suburra è infatti una serie così piena di personaggi e luoghi diversi, da essere composta da sequenze brevissime da 1 o 2 minuti in media, e poi si stacca verso un altro luogo e un altro segmento di trama. Solo le scene d’azione prendono 4 minuti.

Forse per questa ricchezza allora i momenti più riusciti sono quelli in cui questo racconto moderno di fatti quasi veri funziona, come quello finto e in costume di Il Trono di Spade. Sia gli Adami che gli Anacleti sono popolazioni da fantasy, hanno i loro riti e le loro usanze, i loro abiti e i luoghi che li caratterizzano.

Gli Adami, nativi di Ostia, parlano solo dei loro terreni e si offendono se qualcuno mette bocca sulla loro zona (“Tu Ostia non la devi manco nominà!”), seppelliscono i soldi sotto la sabbia come se fosse un materiale sacro che li può proteggere, parlano davanti al mare a voce alta per farsi sentire e bevono solo vino bianco. Gli Anacleti invece hanno abiti loro immediatamente riconoscibili, una fisionomia comune nei volti e praticano riti sconosciuti agli altri, fanno comunità, non accettano nessuno che non sia la famiglia e addirittura parlano la loro lingua come fossero dothraki.

In questo senso allora è il Vaticano il vero fallimento di Suburra. Doveva essere la terza gamba assieme a politica e crimine e invece lo vediamo raramente. Il personaggio che lo rappresenta, Claudia Gerini, in realtà agisce sempre fuori dal Vaticano ed essa stessa è esterna a quel mondo. Non capiamo nulla delle regole di quella dimensione (nell’ottica del trattare i luoghi e i personaggi come in un fantasy il Vaticano poteva essere perfetto) né comprendiamo mai le sue peculiarietà. Non affascina né respinge, soprattutto appare sempre fuori dai giochi.

A movimentare la serie sono sempre le famiglie criminali. Sono tutti loro i momenti in cui Suburra fugge dai volti noti e dagli attori conosciuti, quelli che sembrano portare con sé una recitazione e una plausibilità differenti, ereditate da altre fiction e altre produzioni, che questa serie dovrebbe cancellare per poi costruire altro ma che non riesce a scrollarsi di dosso. Questi attori fanno il doppio della fatica ad entrare nel mood giusto, racimolando la metà dei risultati.

Invece le parti più puramente criminali sono dense di volti sconosciuti o ancora poco noti, vergini agli occhi degli spettatori come erano quelli di Romanzo Criminale e Gomorra, e tutti sembrano funzionare molto di più. L’unica eccezione, in tutti i sensi, è Alessandro Borghi. Lui è un volto ormai noto ma si trova anche perfettamente a suo agio.

Le parti criminali inoltre ci regalano i due personaggi migliori, gli unici così ben caratterizzati da diventare epici.

Il primo è una conferma, Manfredi Anacleti, interpretato come nel film da Adamo Dionisi. Corpo che sembra avere come naturale prolungamento del braccio una pistola, voce distrutta e parlata strascicata, volto strafottente con occhi piccoli e intelligenti, un vero genio del crimine che vuole rendere grande una famiglia criminale piccola e marginale, capo del suo “popolo” e tenutario della tradizione. Dionisi gli dona carisma e terrore a pacchi.

La seconda è la vera scoperta di Suburra: Barbara Chichiarelli. Attrice di teatro alla sua prima apparizione davanti ad una videocamera, è Livia Adami sorella di Aureliano, erede designata del potere nella famiglia di Ostia, femmina veracissima e pericolosa, che consola e consiglia il padre come una moglie e ammonisce e ama il fratello come una madre, senza che questo intacchi di niente il suo essere temibile e violenta, un animale criminale. Con meno scene degli altri dà il tono ad ogni episodio, cammina come un leone ad ampie falcate e tacchi altissimi, quando compare ha sempre qualcosa in più della volta precedente. A fine episodio ti ritrovi a ricordare le sue battute più delle altre, perchè è faccia e corpo perfetti, abiti e monili impeccabili, quando è inquadrata lei sembra essere l’unica ad avere una costumista, tanto è tutt’uno con atteggiamento e apparenza, addirittura anche il suo dialetto mal ripulito è una minuzia attoriale goduriosa.

Nel complesso i 10 episodi di Suburra accoppiati con i 7 giorni di durata della storia e con la struttura delle puntate (che iniziano sempre con un evento che vedremo alla fine e poi con un cartello “Un giorno prima” tornano indietro per raccontare come ci si arrivi), la rendono simile ad una miniserie nel ritmo, anche se il finale un po’ forzatamente si impegna a lanciare la seconda stagione. E forse proprio quella della miniserie era la dimensione migliore, una storia più piccola, magari solo quella dei 3 ragazzi che vogliono uccidere i padri e ritagliarsi una fetta di potere per sé, con arroganza e goliardia, con grandissimi problemi familiari e poca voglia di mediare.

Presa così Suburra è un gioiello. Valutata nel complesso è molto più altalenante.

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