Suburra, la recensione

L'apice del cinema dei luoghi di Stefano Sollima, Suburra è un ottimo poliziesco inserito in scenari mostruosi in cui trova senso, profondità e forza

Critico e giornalista cinematografico


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Sollima parte dai luoghi, ha i piedi piantati nelle location e sono quelle la sua arma prediletta. Lo faceva per esigenza di copione e di ambientazione in Romanzo Criminale, lo ha fatto con i posti iconici in cui si svolge ACAB e ha cominciato a trasformare questa tendenza in qualcosa di più complesso ed elaborato in Gomorra - La Serie.

Ora in Suburra i luoghi sono tutto quello che conta, ciò che vi accade dentro è una buona storia di genere che mette alcune tipologie umane rivelate dalla cronaca in un intreccio da perfetto poliziesco (dei pesci piccoli si immischiano non volendolo in un grande piano di spartizione soldi tra politica e diverse cosche mafiose, scatenando rancori, faide e un'inarrestabile serie di vendette). Il contenuto insomma è perfetto, rigoroso, appassionante ma sono i posti che rendono il film perfetto, è tutto ciò che sta dietro l'azione che in questo film crea quel senso ulteriore che qualsiasi buon film dovrebbe aspirare ad avere.

Suburra è un film che conquista tanto con gli esterni quanto con le case e con gli interni

Suburra inizia (e finisce) sotto una pioggia terribile, quasi irreale, in una notte in cui un montaggio alternato a maglie e tempi dilatati (espediente che Sollima adora e che come può utilizza, specie quando la tensione sale) mostra le aule della politica e poi gli interni di un hotel di lusso in cui si consumano sesso, droga e morte fino terminare su un'inquadratura di Piazza del Popolo dalla terrazza mentre la politica letteralmente piscia sulla città. Vediamo un intero stabilimento balneare bruciare sotto la pioggia, qualcuno sta massacrando di botte qualcun altro, ma dietro c'è un inferno di fiamme, la vera violenza che non guarda in faccia a niente e non teme nessuno. Vediamo poi una festa in una villa romana che pare La grande bellezza, ci sono pr e escort, ma soprattutto luci, proiezioni e balli. Infine negli interni del Vaticano, a metà tra opulenza e minimalismo, il Papa confessa qualcosa di terribile ad un prete. Ci sono tutti, manca solo la gente, e quando compare tutta insieme in una scena di massa fa un rumore assordante perchè lì è evidente che nessuno se ne interessa, semplicemente non esiste.

Suburra è un film che conquista tanto con gli esterni quanto con le case e con gli interni, perchè Sollima sa che un film di genere è fatto di scene che si ripetono, di momenti che abbiamo già visto (qualcuno viene minacciato, qualcuno spara a qualcun altro, qualcuno muore, due persone fanno sesso...) in grado di acquistare senso se il contesto in cui li vediamo questa volta li aiuta a trovarne uno. C'è l'abitazione della grande famiglia mafiosa zingara di Roma che è un'invenzione straordinaria, un piccolo mondo infame di provincia, tutto oro e opulenza, in cui lo squallore si vive tutti insieme. Boss, donne, figlie e figli piccoli tutti negli stessi ambienti come fosse Natale. Nel salottone ricco le donne apparecchiano sullo sfondo, i ragazzini tirano un pallone attraverso le inquadrature, entrano ed escono correndo, e in primo piano un uomo sul divano estrae un coltello all'improvviso blocca la sua vittima e glielo mette alla gola per farla parlare. Non è più una minaccia, è un mondo di violenza ordinaria, di famiglia nel senso più stretto, la minaccia è solo la punta.

Ma ancora ci sono le scene ad Ostia in cui Greta Scarano e Alessandro Borghi vivono come una tribù remota uscita da Il trono di spade, lontani da tutti, con i piedi in acqua anche d'inverno, nascosti nelle baracche dei pescatori o a loro agio in una casa con vista dritta sul mare. Posti incredibili che dicono qualcosa di nuovo su personaggi eterni, boss di quartiere in ascesa radicati sul territorio oppure i nomadi, come il Samurai, che sembra non rispondere a nessuno e non avere nessuno sotto di sè, si muove in moto senza scorta ma è il più potente di tutti. Chi ci vuole parlare lo trova nel bar di un benzinaio squallido ma di solito è lui a spostarsi. Tra questi luoghi poi si inserisce un trionfo di solarium, supermercati, uffici in centro e garage e tutto sembra avere un senso grazie a loro, fino all'apoteosi. Le ultime scene a casa del Samurai. Lì si trova un film a parte, in quella casa, in chi la abita, come e con chi.

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