Studio Illegale, la recensione

Dal blog già diventato libro un film che non riesce a creare una storia a livello degli spunti ma che conferma il talento di Carteni, capace di creare un immaginario quasi da fantascienza...

Critico e giornalista cinematografico


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Se il titolo di questo film vi ricorda l'omonimo blog poi diventato libro di Duchesne, alias Federico Baccomo, non è un caso. Baccomo infatti figura anche tra gli sceneggiatori di Studio Illegale (anche perchè il libro come il blog mancavano di una trama propriamente detta) assieme a Francesco Bruni (del quale davvero non si nota l'apporto o lo stile) e Alfredo Covelli.

Nonostante lo spunto non sia dei più propensi ad un adattamento Studio Illegale (il film) trova da subito una sua strada proprio attraverso le caratteristiche tipiche del cinema, cioè attraverso una messa in scena decisa e straniante. In una grande città moderna e semideserta, dove le poche persone che si notano in giro sono vestite tutte alla stessa maniera, si muovono dei personaggi anni '60. Sono vestiti come negli anni del boom, si muovono in un film dalla fotografia instagrammata per avvicinarsi alle foto di quegli anni e infine hanno l'arrivismo che il cinema di quegli anni ci ha raccontato.

Gli immensi spazi e le costruzioni giganti che paiono schiacciare i piccoli e pochi uomini che li abitano sembrano uscire dal miglior cinema di fantascienza (inquietano nella loro vastità, spiazzano nella solitudine anonima che comunicano), anche se il racconto è quanto più italiano sia possibile, una storia d'amore fatta di corse (ce ne sono almeno 3!) e piccinerie da ufficio.

Studio Illegale ha insomma il respiro ampio di un cinema inventivo che sa usare le immagini per dire quel che ha da dire al di là della propria storia (che ravana nel banale, non fosse per una chiusa inusualmente aperta), sa usare la memoria visiva condivisa e ha un occhio estetico non banale. Come già era capitato in Diverso da chi? ma molto meglio, Carteni dimostra di volersi muovere nel cinema commerciale senza dover per questo fare film sciatti e svogliati, senza insomma "odiare" la propria professione ma anzi dando l'idea di amarne le minuzie.

Questo purtroppo non basta a rendere Studio Illegale una perla (troppo dilatati i tempi, troppo assente il ritmo, troppo inconsistenti i suoi risvolti) ma se non altro a far sperare in un domani migliore per il suo regista.

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