Strappare lungo i bordi, la recensione dei primi due episodi | Roma16

Con un attacco fortissimo Strappare lungo i bordi traduce perfettamente il linguaggio disegnato di Zerocalcare in uno audiovisivo

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Strappare lungo i bordi, la recensione dei primi due episodi | Roma16

Se c’è un lato positivo al fatto che in Italia l’animazione non è propriamente un’industria florida ma più un’impresa che in pochi tentano, è il fatto che non c’è nemmeno un modus operandi stabilito e ogni produzione sembra giocare con regole proprie, riscritte da zero per l’occasione. Accade così che Strappare lungo i bordi, la serie tv scritta, diretta e interpretata da Zerocalcare non somigli a niente altro. Non somiglia alla serialità animata italiana, non somiglia all’animazione d’autore italiana e non somiglia alle serie animate straniere. Il suo parente più vicino è sempre Zerocalcare, sono le sue graphic novel tradotte in un’altra lingua. La serie può sembrare “fatta come un fumetto” ma in realtà non è così, anzi fa un lavoro molto sofisticato sull’audiovisivo a partire da un primo episodio pazzesco, capace di risucchiare in un attimo lo spettatore, catturando attenzione e risorse celebrali in una sfida a tenere il passo indiavolato della narrazione.

Nelle prime due puntate viene introdotto da capo l’universo di Zerocalcare, i suoi personaggi e la sua visione di mondo. E prima ancora di introdurre il pubblico alla trama, solo blandamente accennata, questi viene introdotto allo stile narrativo che sarà adottato per tutto il tempo in episodi della inusuale durata di 15 minuti (6 puntate per un totale di 90 minuti circa). Tutto è fondato su un ritmo che viene dall’unione delle immagini e delle molte parole. Strappare lungo i bordi è una serie verbosa in cui la voce di Zerocalcare fa quasi tutto, doppia tutti i personaggi perché la narrazione è portata avanti dal personaggio stesso, che rievoca, descrive e quindi imita chi lo circonda. Solo l’armadillo parla con un’altra voce, quella di Valerio Mastandrea. E sulla traccia del dialogo, come fosse la musica di un videoclip, le immagini cercano di tenere il tempo con un’esigenza di sintesi che le obbliga ad essere sintetiche ed efficacissime.

strappare lungo i bordi bambini

Non stupirà nessuno che Strappare lungo i bordi riesca trasportare il mondo di Zerocalcare in televisione, ma è molto più stupefacente la maniera in cui riesce a creare un’altra lingua per quei personaggi, quelle storie e ovviamente quell’umorismo lì, una che se non usa le potenzialità della serialità (c’è pochissimo mistero, poco rimando di puntata in puntata e un cast poco ampio) di certo sfrutta bene quelle dell’audiovisivo. In primis la voce di Michele Rech stesso, un’altra scelta apparentemente naturale che non ha niente di naturale. Rech non è un attore, non ha la buona parlata e nemmeno la varietà di toni che servono per dare voce a diversi personaggi eppure lo stile visivo segue questa scelta adattandosi benissimo, con una messa in scena molto spartana e svelta, che fa sì che niente stoni, anzi!

Tutto è al servizio di una storia che si presenta come il classico viaggio tra le persone e la memoria, il grande tema che attraversa buona parte della produzione di Zerocalcare: come è possibile trovare un punto di incontro tra ciò che si sognava di essere o si pensava potesse avvenire e la realtà e i compromessi della vita adulta. Tutto, come sempre, interpretato, letto e raccontato attraverso i consumi culturali, unica grande costante lungo il tempo. E quelli non mancano infatti. Se i fumetti di Zerocalcare parlano di film e serie molto più di quanto non parlino di fumetti, la serie fa lo stesso, utilizza una delle caratteristiche più importanti del postmoderno (cioè il riciclo di altri prodotti culturali per costruirne uno nuovo) come mezzo d’espressione. Non sono le citazioni e non è nemmeno il furto di soluzioni di messa in scena, è proprio lo sfruttamento di una conoscenza condivisa per stabilire un rapporto con il lettore (qui spettatore) e un terreno di dialogo comune che flirta sempre con la nostalgia perché tutto sia letto alla luce del rapporto con la memoria.

È semplice farlo una volta. È complicato costruirci una poetica e un linguaggio propri. È complicatissimo declinarlo in un altro linguaggio, quello audiovisivo, senza perderne la forza espressiva. E invece anche questo riesce.

Continua a leggere su BadTaste