Strappare lungo i bordi, la recensione dei primi due episodi | Roma16
Con un attacco fortissimo Strappare lungo i bordi traduce perfettamente il linguaggio disegnato di Zerocalcare in uno audiovisivo
Se c’è un lato positivo al fatto che in Italia l’animazione non è propriamente un’industria florida ma più un’impresa che in pochi tentano, è il fatto che non c’è nemmeno un modus operandi stabilito e ogni produzione sembra giocare con regole proprie, riscritte da zero per l’occasione. Accade così che Strappare lungo i bordi, la serie tv scritta, diretta e interpretata da Zerocalcare non somigli a niente altro. Non somiglia alla serialità animata italiana, non somiglia all’animazione d’autore italiana e non somiglia alle serie animate straniere. Il suo parente più vicino è sempre Zerocalcare, sono le sue graphic novel tradotte in un’altra lingua. La serie può sembrare “fatta come un fumetto” ma in realtà non è così, anzi fa un lavoro molto sofisticato sull’audiovisivo a partire da un primo episodio pazzesco, capace di risucchiare in un attimo lo spettatore, catturando attenzione e risorse celebrali in una sfida a tenere il passo indiavolato della narrazione.
Non stupirà nessuno che Strappare lungo i bordi riesca trasportare il mondo di Zerocalcare in televisione, ma è molto più stupefacente la maniera in cui riesce a creare un’altra lingua per quei personaggi, quelle storie e ovviamente quell’umorismo lì, una che se non usa le potenzialità della serialità (c’è pochissimo mistero, poco rimando di puntata in puntata e un cast poco ampio) di certo sfrutta bene quelle dell’audiovisivo. In primis la voce di Michele Rech stesso, un’altra scelta apparentemente naturale che non ha niente di naturale. Rech non è un attore, non ha la buona parlata e nemmeno la varietà di toni che servono per dare voce a diversi personaggi eppure lo stile visivo segue questa scelta adattandosi benissimo, con una messa in scena molto spartana e svelta, che fa sì che niente stoni, anzi!
È semplice farlo una volta. È complicato costruirci una poetica e un linguaggio propri. È complicatissimo declinarlo in un altro linguaggio, quello audiovisivo, senza perderne la forza espressiva. E invece anche questo riesce.