Lo strangolatore di Boston, la recensione
La recensione di Lo strangolatore di Boston, film crime tratto da una storia vera scritto e diretto da Matt Ruskin, con Keira Knightley
La recensione di Lo strangolatore di Boston, su Disney+ dal 17 marzo
Di fatto Lo strangolatore di Boston racconta esclusivamente l’indagine e per niente le persone che la animano. Tra scartoffie, sequenze in ufficio e scene del crimine, quello che vediamo di Loretta McLaughlin è esattamente quello che avremmo potuto immaginare leggendo del caso in altri modi. Non attraverso un film.
L’estetica è tutta tratta da David Fincher: la color correction un po’ slavata e retrò, i fumi di sigaretta che riempiono gli spazi, gli uffici della giustizia che nel loro ordine razionale e geometrico si scontrano con il marciume e il buio dei luoghi del crimine. In questo senso Lo strangolatore di Boston potrebbe davvero sembrare un film di Fincher, ma lo è solo a livello estetico e in nessun modo lo è a livello di regia o scrittura. Matt Ruskin pur avendo tra le mani una storia estremamente interessante e piena di possibili conflitti (tra le giornaliste e il mondo fuori, la loro vita privata, il giornale stesso) non fa altro che giocare sul già noto e fare una vera e propria ripresa cronachistica del possibile, non prendendo mai alcun rischio e non mettendo mai sul piatto un’idea che non sia il realismo. E Keira Knightley, nella sua mono-espressività, certamente non aiuta.
Ecco, nel momento in cui il realismo si veste da finzione ben più elaborata e complessa (appunto, Fincher) non ci si può non aspettare da Lo strangolatore da Boston qualcosa che non è. Puntando troppo in alto e nella direzione sbagliata di fatto Matt Ruskin si frega da solo, e mentre si affanna ad essere un regista che non è perde di vista chi potrebbe essere. La regia è corretta ma statica, priva di idee, di intenzioni: e così le scene si ripetono infinitamente le une uguali alle altri fino alla risoluzione finale.
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