Stranger Things (seconda stagione): la recensione

La seconda stagione di Stranger Things guadagna in coraggio ciò che perde in freschezza, ammantando di cupezza il dramma dei protagonisti

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Spoiler Alert
Nulla è impossibile, o così si suol dire; potrebbe esser vero, ma replicare la miracolosa formula della prima stagione di Stranger Things sembrava, agli occhi di molti, quantomeno improbabile. Troppo alto il rischio di ripetersi assoggettandosi alla comodità pigra del fanservice, enfatizzando quell'effetto nostalgia che ne aveva decretato il successo più superficiale - si badi, non nell'accezione negativa del termine - e ricalcando le dinamiche già apprezzate nel suo fortunato esordio.

Gli indizi per temere il peggio c'erano tutti: il ritorno della beniamina del pubblico Eleven (Millie Bobby Brown) dal famigerato Sottosopra, l'annuncio di nuove dinamiche amorose, trailer che celebravano ancora una volta quei favolosi, analogici anni '80 tanto cari non solo a chi li ha vissuti e li apprezza più adesso che allora, ma anche a chi, complice prodotti sapientemente selettivi come Stranger ThingsGLOW e il recente IT cinematografico, li ha idealizzati nella propria mente.

Basta un episodio, tuttavia, per rendersi conto di come i fratelli Duffer - illuminati autori della serie - abbiano schivato il comodo giaciglio di alloro su cui cineasti più navigati si sono spesso e volentieri adagiati. Stranger Things 2 resta infatti coerente alla vicenda da cui prende avvio, ma ne rimescola le carte con esiti altrettanto interessanti e rischiosi.

Rispetto a quanto visto nella prima tranche di puntate, viene messo il silenziatore all'idolatria rievocatrice e un po' feticista del periodo storico che fa da cornice alla storia. Non mancano, sia chiaro, un buon numero di riferimenti atti a solleticare il palato dei nostalgici, e sarebbe ingrato snobismo condannarli; è anche in virtù di essi che, l'anno scorso, ci siamo innamorati di questa piccola, insperata perla di Netflix.

Tuttavia, Stranger Things è conscia del proprio successo e, forte della simpatia duramente conquistata, usa la fiducia del pubblico per concedersi un'inedita cupezza, che la distacca dai Goonies di Donner (omaggiati comunque nel casting dell'ottimo Sean Astin) per avvicinarla, in una forma orrorifica e cruenta che ne giustifica in parte il divieto ai minori di 14 anni, alle mostruosità cannibali e limacciose evocate da Scott e Cronenberg.

Eccoci quindi di fronte a corpi sventrati senza censura, all'impavido insistere della macchina da presa sulle carni di uno dei personaggi principali divorato dai mostri approdati dal Sottosopra grazie a Will, ignaro Caronte che traghetta l'abominio nella realtà contingente. È proprio Will, ancora una volta, l'elemento centrale della trama di stagione, ma i Duffer ci concedono quest'anno il privilegio - il termine non è esagerato, viste le eccelse doti attoriali dimostrate da Noah Schnapp - di osservare da vicino colui che, nella scorsa stagione, aveva svolto un ruolo fantasma nel gruppo dei bambini.

Il gruppo, già: anche in questo, Stranger Things dimostra di saper evolvere, ricusando l'assemblamento anagrafico dei personaggi, che nel 2016 era stato una carta funzionale alla contrapposizione generazionale. Ormai conosciamo bene i protagonisti della storia e gioiamo nell'osservarne le nuove combinazioni come davanti a una bizzarra slot machine di personalità; non è un caso che la storyline meno brillante risulti essere quella legata a Nancy (Natalia Dyer) e Jonathan (Charlie Heaton), laddove l'ex bullo Steve (Joe Keery) fiorisce, grazie alla vicinanza con i bambini, sotto lo sguardo dello spettatore, diventando uno dei personaggi più riusciti di questa seconda stagione.

Vi è, peraltro, una rispettosa delicatezza nell'introdurre i nuovi volti che costellano la vicenda: dalla Max di Sadie Sink al Bob di Sean Astin, passando per il Billy di Dacre Montgomery, nessuna tra le nuove figure presentate quest'anno catalizza su di sé l'attenzione sottraendola ai protagonisti consacrati della serie; si potrebbe, semmai, rintracciare una velata macchinosità nell'utilizzo dei suddetti come mere leve di meccanismi necessari al prosieguo della storia.

Sono difetti minori e dimenticabili, eccezion fatta per un settimo episodio dichiaratamente distaccato rispetto al corpus principale, ma non abbastanza accattivante - per trama e personaggi - da motivare una digressione così lunga. Era necessario, lo sappiamo, stratificare ulteriormente la psicologia della tormentata Eleven, ed è facile intuire che questa prima semina un po' goffa avrà sviluppi nelle prossime mandate di episodi; ma da una serie mirabilmente acuta come Stranger Things ci saremmo aspettati una gestione migliore di un momento così pivotale per la protagonista.

E Eleven? Mike Wheeler (Finn Wolfhard, fenomenale in questa seconda stagione) non è certo l'unico ad aver perso la testa per la bambina più letale che la cittadina di Hawkins abbia mai conosciuto. I Duffer non cedono alla tentazione di sovraesporre la loro eroina, ma ne centellinano sapientemente la presenza e riducono la sua storyline più a un viaggio personale che non a una vera e propria missione di salvataggio. È ancora lei, sia chiaro, la comprovata dea ex machina risolutrice, coadiuvata nei momenti più critici - seppur in luoghi diversi - dalle altre figure femminili (Joyce, Nancy, Max) che, in propositivà e audacia, superano spesso e volentieri le controparti maschili.

Ma c'è un tempo per l'azione e un tempo - fugace, intenso - per l'amore. La prolungata lontananza di Eleven dall'amato Mike fa sì che la riunione tra i due bambini deflagri con una potenza emozionale inaudita e coraggiosa, vista l'età dei personaggi in ballo. Non c'è ombra di scabrosità in questa passione infantile incapace di scendere davvero a compromessi - parola che lo sceriffo Jim (David Harbour) tenta di inculcare nella testa di colei che, implicitamente, è divenuta la sua stramba figlia adottiva; commuove con semplicità scevra da ricatti, così come la solerte amicizia di Mike nei confronti del sofferente Will, o l'improvvisa rivalità tra Lucas (Caleb McLaughlin) e Dustin (Gaten Matarazzo) alle prese coi primi turbamenti erotici.

C'è molta simbologia in questa seconda annata di Stranger Things, e una ricchezza sottotestuale che attinge alle dinamiche interiori più ancestrali dell'uomoC'è molta simbologia in questa seconda annata di Stranger Things, e una ricchezza sottotestuale che attinge alle dinamiche interiori più ancestrali dell'uomo. I nostri protagonisti - i bambini così come gli adolescenti e gli adulti - sono cambiati, e con essi le loro paure e i problemi che si trovano a fronteggiare. Emblematico il gesto di Joyce Byers (Winona Ryder) che, liberatasi dai motivati panni di madre iperprotettiva, sottopone il figlio Will a una tortura straziante ma necessaria a liberarlo una volta per tutte dal Male che si è annidato dentro di lui.

Proprio in questo ribaltamento - nella prima stagione, Will era nel Sottosopra, mentre qui il Sottosopra è, in qualche modo, dentro Will - si esemplifica una raggiunta maturazione della serie attraverso i propri protagonisti: il Male non è più un luogo minaccioso da cui tenerci lontani, ma vive e opera manipolando il cuore di un fragile ragazzino dallo spiccato senso artistico, divorandolo dall'interno assecondato dal gelo in cui il piccolo viene cullato e viziato.

Stranger Things non lega, però, la sua comprensione a metafore di difficile lettura; la sua godibilità prescinde le interpretazioni più cervellotiche - ma nondimeno affascinanti - che il suo dramma offre. Radicata nel fecondo terreno della narrativa di genere, la serie continua la propria programmatica rilettura estetica e poetica di un'epoca attraverso i suoi oggetti, i suoi miti, i suoi incubi; lo fa senza autocompiacimento, e con un'umiltà encomiabile a fronte del successo planetario conseguito lo scorso anno.

Pur inciampando qua e là e dovendo sostenere un confronto impietoso con l'imprevista freschezza della sua stagione precedente, la creatura dei fratelli Duffer non cessa quindi d'affascinare e innamorare; forse perché, al di là della solidità non sempre impeccabile della scrittura, sono i suoi protagonisti a portare impressa sul volto la ragione della sua bellezza. Più del (molto) sangue, più dei putridi cunicoli brulicanti di mostri in (ottima) cgi, è nelle urla disperate di Eleven, di Mike, di Will, che Stranger Things conferma la sua efficacia viscerale, rilanciando un gancio emotivo che, a distanza di un anno dal suo esordio, ha ancora un sapore sorprendentemente unico.

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La seconda stagione di Stranger Things è uscita su Netflix il 27 ottobre ed è composta da nove episodi. Nella serie ritroviamo Winona Ryder, David Harbour, Finn Wolfhard, Millie Brown, Gaten Matarazzo, Caleb McLaughlin, Noah Schnapp, Natalia Dyer, Cara Buono, Charlie Heaton e Matthew Modine, oltre ai nuovi arrivati Dacre Montgomery, Brett Gelman, Linnea Berthelsen, Sean Astin e Paul Reiser.

Trovate tutte le notizie, gli approfondimenti e le recensioni sulla serie nella nostra scheda.

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