Strange World - Un mondo misterioso, la recensione

Attingendo a varie ispirazioni e con un twist finale ambientalista Strange World vuole anche essere il Frozen della mascolinità tossica

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Strange World - Un mondo misterioso, il nuovo film d'animazione Disney, al cinema dal 23 novembre

Non tanto un mondo strano ma più uno perduto, come quello del libro di Arthur Conan Doyle. Un mondo trovato al di là delle montagne, dentro le profondità di una regione sconosciuta a seguito di esplorazioni da primi Novecento. Creature di fantasia, simil-preistoriche (ma bioluminescenti come quelle di Avatar); piante autorigeneranti (di colori modaioli come il fucsia), terreni morbidi e mari velenosi, è un mondo pieno di insidie in cui tuttavia è possibile trovare non solo se stessi (come in tutti i luoghi “altri” ciò che si trova è solo ciò che si è portato con sé) ma risposte a domande più importanti di quelle con le quali è partita la spedizione, alla disperata ricerca della causa del male delle piante che forniscono l’indispensabile energia. Unendo tutti i puntini alla fine uscirà fuori un chiaro disegno di metaforone politico, sociale e ambientalista, oltre a lasciar emergere molte idee (anche di design di qualche creatura) da Nausicaa della Valle del Vento.

È almeno da Rapunzel che la Disney ha svoltato con una decisione mai vista prima sul politico, intuendo quanto sia cruciale il posizionamento e quanto siano importanti gli ideali per la sua nuova generazione di riferimento. Dopo aver accelerato in maniere impressionanti sul lato femminista, mettendo a segno senza dubbio alcuni dei film più cruciali sul tema, ora realizza un pamphlet ambientalista in cui, senza far troppo clamore ma anche senza nasconderlo eccessivamente, mette sullo schermo il primo co-protagonista apertamente gay di un suo lungometraggio per il cinema. Non è una spalla, non è un alleggerimento comico, non è un villain, è di fatto uno dei tre personaggi principali e quello con il quale più facilmente sì può identificare il pubblico.

Più in grande Strange World vuole appartenere al filone dei film Disney d’avventura e azione (e che bello score avventuroso che è stato composto!) e nel raccontare il grande viaggio di un equipaggio nel quale seguiamo una famiglia, racconta soprattutto tre modelli maschili, cioè tre modi differenti di essere uomo, che appartengono a tre generazioni diverse. Nonni, padri e figli. Certo sono anche tre modi differenti di relazionarsi con l’ambiente (la sfida, l’irregimentazione e l’armonia), ma il conflitto tra i tre è proprio quello tra tre modelli di mascolinità che cercano di imporsi gli uni sugli altri (chi con forza, chi in modo passivo-aggressivo, chi lamentandosi) e che sono anche i diversi modi di intendere l’atteggiamento maschile che esistono nella nostra società, senza ricorrere per forza a generazioni diverse. 

Strange World vorrebbe essere il Frozen di queste tematiche ma è chiaro che non ci riesce. Al netto della consueta narrazione gradevole, del buon character design e in generale di una direzione artistica piacevole e (finalmente) inventiva, non trova mai davvero un cuore morbido da condividere, né ha quel senso di ardore e ritmo che fonda l’avventura. Gli autori di Big Hero 6 (già una delusione) e Raya e l'ultimo drago (altro film deludente) replicano i punti di forza del cinema dello studio, e se come molti ormai rinunciano a un villain propriamente detto (ma non all’animaletto comico), questo non vuol dire che riescano a creare una storia davvero autonoma ma semmai l’ennesimo esito di una formula rodata e sempre funzionante.

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