Storia di un uomo d'azione, la recensione

Prostrato in adorazione del suo protagonista, Storia di un uomo d'azione non riesce mai ad essere l'esaltazione dei valori che vorrebbe

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Storia di un uomo d'azione, disponibile su Netflix dal 30 novembre

Per quanto possa darci fastidio l’idea, non abbiamo l’esclusiva sui brutti film ambientati negli anni ‘70. Nonostante l’indubbio sforzo che abbiamo profuso negli anni a creare il peggior cinema possibile di anni ‘70, impoverendo quell’immaginario fatto di protesta, crimine, politica e contestazione violenta, non siamo l’unica eccellenza. Ci pensano Javier Ruiz Caldera e Patxi Amezcua a tenere alta la bandiera della Spagna con Storia di un uomo d’azione, film ispirato alla vita dell’anarchicoLucio Urtubia e immaginato per un pubblico con gli occhi lucidi alla sola idea di vedere un anarchico in azione, prima ancora di premere Play.

È una storia in teoria d’azione, come dice il titolo che tuttavia fa riferimento a come gli attivisti venivano chiamati, piena di ardimento e tensione in una guerra dalla sproporzione unica, e per questo molto cinematografica, tra alcuni singoli e nemici giganti come le banche o l’America. Ma la prima vittima del film è la ricostruzione storica, proprio la fattura, divisa a metà tra una fotografia vagamente seppiata che viene stesa come un velo su tutte le scene, a prescindere da cosa raccontino, e poi il comparto scenografia e costumi che ricostruisce tutto nuovo di pacca, stirato e appena uscito dalla sartoria. Nulla di serio può essere raccontato con una simile messa in scena, a prescindere dalla scrittura, perché non a mancare è proprio la capacità di immaginare.

Poi ovviamente c’è la pessima sceneggiatura, che in questi casi non manca mai, completamente inginocchiata di fronte al suo protagonista, in totale adorazione degli ideali e del suo status di povero lavoratore in lotta contro il sistema. È chiaro che la storia di Urtubia è affascinante, tanto quanto lo è lui, ma non c’è niente di meno fascinoso che un film prostrato di fronte al suo protagonista. Non c’è niente di più noioso di una storia raccontata da qualcuno che non riesce a trovare cosa davvero sia interessante negli eventi che mette sullo schermo.

L’impegno nel costruire il carattere dei protagonisti è talmente scarso, e c’è così poca capacità di immaginare conflitti e dare vita anche alle dinamiche più semplici che poi nascono scene come quella in cui una ragazza viene convinta ad unirsi agli anarchici perché “Anche tu non sopporti i potenti?”. Cinema che parla nemmeno ai convertiti ma agli esaltati e invece di capire, rileggere, creare paralleli, preferisce celebrare. Il risultato alla fine è l’esatto opposto di quello che si immagina il film vorrebbe, cioè raccontare la profondità dell’indignazione e la fiducia nei valori.

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