Step Up 4 Revolution 3D, la recensione
Arrivato al quarto episodio senza cambiare una virgola, Step Up continua a ripetere se stesso all'infinito mutando solo i passi di danza. E per fortuna...
Mai serie di film fu più uguale a se stessa di quella di Step Up.
Si è cominciato con i problemi scolastici, poi le accademie e le università, poi il lavoro e ora la protesta. Ogni film ha un tema, un velo che blandamente ricopre e dà un colore diverso al medesimo disegno, giusto per salvare le apparenze. Stavolta è la protesta civile, danzare per qualcosa e non più solo per se stessi ma per farsi sentire. Step Up tenta di leggere ogni ambito della vita attraverso la lente della danza, cioè ogni ambito dell'attualità risolto e vissuto da ballerini di strada. Il razzismo, il disprezzo altezzoso delle classi più alte, il capitalismo e ancora l'ecologia, la comunicazione in rete e via dicendo. Tutto al servizio della danza. Lo sforzo è tanto assurdo quanto encomiabile.
Caratterizzato da grandi scene di massa, molto ben coreografate e con decisamente più impegno e più iperboli che in passato, questo quarto film arruola più professionisti e meno attori (nonostante il protagonista in primis sia un non-ballerino), usa un 3D finalmente in tutte le scene e con un po' di testa, riuscendo così a regalare, al netto del solito repertorio di banalità, un po' più di momenti che valgono il prezzo del biglietto.
Con un po' più d'arroganza critica e di banalità si potrebbe dire che lo Step Up dei tempi di Occupyqualcosa (#OccupyDanceFloor) ma sarebbe solo una forzatura a posteriori buona per articoli sensazionalisti. Di davvero attuale Step Up non ha nulla se non i passi di danza.