Star Wars: Visions, la recensione

Con i suoi corti realizzati in Giappone, Visions è prodotto molto valido, che ci ricorda che Star Wars può e deve essere qualsiasi cosa

Dal 2017 sono Web Content Specialist l'area TV del network BAD. Qui sotto trovi i miei contatti social e tutti i miei contenuti per il sito: articoli, recensioni e speciali.


Condividi
Star Wars: Visions, la recensione

Se è vero che Star Wars ha sempre avuto un'anima orientale, allora Visions è quasi un ritorno a casa. Nel momento in cui viene raccontato da studi d'animazione giapponesi, Guerre Stellari si spoglia di tanti dei suoi filtri, e propone racconti più legati alle sue radici. Il jedi è un samurai, la spada è una katana, il comandante imperiale è un signore feudale da abbattere. E se questa regola non è rispettata da ognuno dei nove cortometraggi qui proposti, al tempo stesso è spesso lo scheletro sul quale costruire vecchie e nuove vicende. Alcune ripetizioni, un certo desiderio di vedere ancora più sperimentazione, ma Visions è prodotto molto valido, che ci ricorda che Star Wars può e deve essere qualsiasi cosa.

Qui a sette studi d'animazione nipponici è stata affidata la realizzazione di nove cortometraggi a tema Star Wars. Sono storie che presentano quasi sempre degli scontri tra il bene e il male, che ripropongono jedi e sith, che parlano delle diverse manifestazioni della Forza, che a volte usano un linguaggio quasi sperimentale e altre volte si accontentano si narrare piccole storie semplici. Ciò che rimane, forte e riuscito dopo la visione delle puntate, è il merito di aver creato uno spazio interpretativo per il mito della "galassia lontana lontana". Qualcosa che intende nel modo più meritevole, e a volte dimenticato da cinema e tv, il fatto che Star Wars è un contenitore che può essere riempito con qualsiasi storia. Ci si era avvicinato Star Wars: Clone Wars del 2003, con Genndy Tartakovsky che arrivava da Samurai Jack e portava qualcosa di quello stile orientale nella sua creazione.

Decisamente radicale è l'impatto con The Duel, della Kamikaze Douga (Le bizzarre avventure di Jojo). Qui è forte l'ispirazione al cinema di Akira Kurosawa, che con La fortezza nascosta era stato tra gli ispiratori di Star Wars. Un bianco e nero molto sporco fa da cornice da una sfida tra due guerrieri: è già uno dei migliori corti del lotto. Tatooine Rhapsody dello Studio Colorido (Penguin Highway) è invece il più leggero dei corti. Una rock band è in pericolo quando Jabba cerca di catturare uno di loro. Un episodio senza combattimenti e con poche pretese, una piccola storia che fa da intermezzo rispetto a puntate più tese.

The Twins dello Studio Trigger (Promare) è il gioiello della raccolta. Due gemelli in lotta tra di loro per un grande potere. Come nello stile dello studio, tutto è ipercinetico, coloratissimo, assurdo, sfrenato. Se siete fan del loro stile, lo amerete tanto. The Village Bride dello Studio Kinema Citrus (Made in Abyss) è ambientato in un villaggio sotto una dominazione opprimente. Due jedi arrivano sul posto alla vigilia di un evento importante. Lo stile e il design si fanno più basilari, il ritmo più rilassato, il punto forte è il racconto della piccola comunità contrapposta alle grandi storie della galassia. La storia è semplice e prevedibile.

Se c'è un elemento limitante, non previsto probabilmente, è la gestione delle trame, che in quasi tutte le occasioni vanno a raccontare scontri tra cavalieri e signori oscuri. Seguiranno questo canovaccio The Ninth Jedi, The Elder e Arakiri. Ognuno di questi corti ha le sue particolarità. Il primo presenta una rinascita in un futuro lontano, The Elder è molto classico, l'ultimo ha una svolta interessante nel finale. Nessuno di questi corti non funziona di per sé, ma subentra anche la voglia di vedere più sperimentazione, anche narrativa. Rimangono da citare T0-B1, che ha l'idea tanto semplice quanto geniale di raccontare la sua versione di Astroboy nel mondo di Star Wars, e Lop and Ochō, che racconta le divisioni in una famiglia a causa dell'impero.

Continua a leggere su BadTaste