Star Wars: TIE Fighter #1, la recensione

Abbiamo recensito per voi il primo numero della miniserie Star Wars: TIE Fighter, edita dalla Marvel

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Facciamo un po’ di storia antica: eravamo nei primi anni '90 quando la neonata Lucasarts inaugurava la sua carriera starwarsiana nel mondo dei videogame con il simulatore di volo X-Wing. Il gioco per PC, che permetteva di cimentarsi in un’appassionante serie di missioni per conto della Ribellione ai comandi del celebre caccia T-65 (e anche di altri modelli) fu un successo annunciato, e come tale reclamò un sequel. Con un lungimirante colpo di genio, la Lucasarts decise di non proseguire le avventure di Keyan Farlander, il pilota protagonista della prima serie, ma di portarci dall’altra parte della barricata pubblicando TIE Fighter, dove il giocatore prendeva posto nell’abitacolo dei veloci ma fragilissimi caccia imperiali e si cimentava a sua volta in una lunga campagna ai comandi del Twin Ion Engine Fighter, il caccia imperiale per eccellenza, e delle sue molte varianti.

Le differenze non stavano solo nelle meccaniche di gioco e nelle caratteristiche tecniche dei mezzi pilotati, ma anche e soprattutto nell’atmosfera. Se le missioni di X-Wing miravano a esaltare lo spirito di squadra, le imprese eroiche e la ricerca della speranza dei piloti ribelli, quelle di TIE Fighter erano un oscuro e allucinante viaggio nei meccanismi della macchina da guerra imperiale, tra dottrine mirate a deumanizzare i piloti, addestramenti rigorosi e spietati e competizione accanita che spesso sfociava in veri e propri tradimenti interni.

Tutto questo preambolo per dire che la miniserie ai nastri di partenza per la Marvel, firmata da Jodie Houser ai testi e da Rogê Antônio e Michael Dowling alle matite, è in tutto e per tutto il discendente diretto dell’omonimo videogioco d'annata. Come accadeva nel videogame, anche il TIE Fighter a fumetti ci guida dall’altra parte della barricata mostrandoci la vita, le sfide e i dilemmi di una squadriglia di piloti imperiali, la Squadriglia 5, soprannominata Squadriglia Shadow. E anche in questo caso l’atmosfera è quanto di più lontano sia lecito aspettarsi dal cameratismo e dallo spirito di gruppo sopra le righe che caratterizza i piloti ribelli che conosciamo meglio: superiori severi e reticenti, capisquadra ambiziosi e spietati, e piloti che nel migliore dei casi pensano solo a se stessi, e nel peggiore sono pronti a pugnalarti alle spalle per fare carriera.

Il primo numero della miniserie, come da tradizione, dispone i pezzi sulla scacchiera: ai due piloti più umani del gruppo, Ganem Kahi e Zin Graw, si contrappongono i più freddi e tipicamente Imperiali Jeela Brebtin e Lyttan Dree, tutti capitanati dall’ambiguo comandante Teso Broosh, che gode della poco invidiabile nomea di essere pronto a sacrificare i suoi piloti pur di cavarsi d’impaccio o di fare carriera.

Sullo sfondo, ma non poi molto, aleggiano i tumulti della Guerra Civile Galattica e lo spettro della Ribellione, che agli imperiali più convinti appare come una sfida più impegnativa del previsto ogni giorno che passa, e a quelli meno persuasi come un violento scossone che mette in dubbio la loro fedeltà e il loro credo.

Fa il suo dovere la sceneggiatura della Houser nel presentare i personaggi e lo scenario generale, anche se è davvero troppo presto per esprimere un giudizio sulla trama, che deve ancora - se ci perdonate il gioco di parole minimalista - decollare a tutti gli effetti. Giudizio essenzialmente positivo anche per le tavole di Antonio e Dowling, che pur usando un tratto stilizzato riescono a cogliere la dinamicità e le inquadrature cinematografiche a cui i duelli tra caccia stellari ci hanno abituati; forse ne risente un po’ la caratterizzazione dei vari protagonisti nelle tavole di dialogo, ma tutto scorre via molto piacevolmente.

Per come ci lascia il primo numero alla conclusione, il più grande potenziale di TIE Fighter è anche il suo più grande rischio. La trama ventila l’ipotesi che uno dei piloti della squadriglia possa essere in realtà una spia ribelle: questo potrebbe contribuire a lanciare una trama approfondita e accattivante che veda i vari protagonisti della serie fronteggiare l’ipotesi di un tradimento interno, con tutti gli intrighi e i colpi di scena che uno spunto del genere può rappresentare, a riprova che se i soldati della Ribellione vivono sotto l’ombra opprimente della potenza imperiale, anche la controparte, a modo suo, deve fare i conti con uno spettro che non la abbandona mai, nemmeno tra i propri ranghi.

Per contro, quello che non vorremmo è che TIE Fighter sia l’ennesima storia di uno o più piloti imperiali che disertano e finiscono per unirsi alla Ribellione. Non che in sé non sia una storia valida da raccontare, ma, anzi, proprio per questo, è già stata proposte fin troppe volte: l’abbiamo vista nel romanzo Lost Stars, nella storia di Iden Versio nel videogame Battlefront e perfino nell’Universo Legends, nella figura del famoso Barone Soontir Fel, passato da nemesi di Wedge Antilles a pilota della sua squadriglia.

Quello che è lecito aspettarsi da TIE Fighter, proprio come dal suo predecessore ludico, è un viaggio allucinato e oscuro nei meandri della macchina bellica imperiale. Fare la conoscenza con qualche volto celebre che, per quanto tormentato, incarni l’essenza dei piloti della Flotta Imperiale sarebbe un’aggiunta all’universo fittizio molto più gradita e intrigante che non l’ennesimo pilota che si credeva cattivo e che sotto sotto è un bravo ragazzo. Per scoprire dove ci porterà la storia, non resta che seguire gli episodi successivi, ma l’esordio è sufficientemente intrigante da lasciarci con la voglia di saperne di più.

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