Star Wars: Bounty Hunters #1, la recensione
Una partenza non esente da qualche difetto ma che nel complesso regala divertimento, crea belle atmosfere e stuzzica l’interesse
Di tanto in tanto, Star Wars prova a giocare con i generi narrativi e a tentare incursioni in campi meno scontati di quello epico/mistico che gli viene tradizionalmente associato: si va dalle atmosfere di guerra di Rogue One a quelle horror di La Cittadella Urlante, fino colpo grosso in stile Ocean's Eleven di Solo. Anzi, potremmo dire che nei casi più fortunati e ispirati, queste incursioni nei generi narrativi alternativi costituiscano gli esperimenti più riusciti, quelli in grado di infondere nuova linfa al franchise e di traghettarlo verso un futuro dagli orizzonti più ampi. È il caso di Star Wars: Bounty Hunters, la nuova serie regolare Marvel sceneggiata da Ethan Sacks e illustrata dal nostro Paolo Villanelli.
Se proprio volessimo andare a cercare una distinzione in più per cogliere l’essenza della serie in questione, potremmo dire che Bounty Hunters ha forse qualche vena “tarantiniana” che la distingue dalle avventure del Mandaloriano. Se nella serie televisiva il protagonista è, tutto sommato, un personaggio che da neutrale compie un cammino di crescita e di costruzione verso una figura eroica di stampo più tradizionale, in Bounty Hunters non esistono dubbi: i tre protagonisti sono dei mascalzoni fatti e finiti, e le eventuali differenze che li caratterizzano possono tutt’al più giocare su qualche sfumatura di grigio in più o in meno, ma non c’è dubbio sul fatto che siamo di fronte a una storia incentrata su personaggi negativi o tutt’al più riconducibili alla figura di antieroi. E tutto sommato forse è un bene così: in nome della varietà e della sperimentazione di cui si parlava in origine, non tutti i protagonisti devono necessariamente ricadere nell’archetipo dell’eroe.
"Una partenza non esente da qualche difetto ma che nel complesso regala divertimento, crea belle atmosfere e stuzzica l’interesse."Ovviamente rimaniamo in ambito starwarsiano, quindi sarà prudente non aspettarsi gli aspetti più splatter e sanguinolenti delle epopee tarantiniane, ma la stessa struttura di partenza che lancia la serie (un “mentore” che tradì i cacciatori di taglie all’inizio delle loro carriere in passato e che ora riemerge dal suo nascondiglio, dando il via a una “corsa alla vendetta” covata e attizzata da tempo), è sufficientemente vicina ai territori di storie come Inglorious Basterds, Hateful Eight o Kill Bill da agganciare e intrigare il lettore. La premessa iniziale è buona, i personaggi validi e il ritmo avvincente. Per partire, si parte bene.
Problemi? In questo numero #1 se ne intravedono due: il primo è una certa frenesia nell’introdurre una miriade di personaggi, trame, volti nuovi e scene d’azione, un ritmo che ricorda da vicino l’estenuante smania di azione di Episodio IX e che non rientra tra gli aspetti più apprezzati di quella pellicola. Il world building è una bella cosa, ma forse andrebbe fatto a dosi più piccole e con tempi più ragionati. Se il lettore si trova sopraffatto da una quantità eccessiva di input, rischia di non legarsi come si deve a personaggi ed eventi della storia narrata.
Il secondo è la natura stessa della serie, vale a dire una serie regolare. Una trama archetipale come quella della vendetta contro un torto subito è per definizione una trama che deve giungere a un climax e a una chiusura definitiva, e che forse avrebbe funzionato meglio in una pubblicazione dalla durata limitata. Se il faccia a faccia tra i cacciatori di taglie e il mentore traditore viene procrastinato all’infinito, il titolo rischia di perdere di mordente, ma se giunge a compimento in tempi brevi, si presenterà il bisogno di ristrutturare l’intero progetto da capo; ma su questo punto possiamo essere più indulgenti, non è nulla che una sapiente gestione degli archi narrativi non possa coprire.
Poco o nulla c’è invece da appuntare alle matite di Paolo Villanelli, che riesce sia a cogliere con abilità le movenze e i tratti caratteriali dei protagonisti che a imbastire scene d’azione dal taglio cinematografico. I suoi scenari sembrano veramente usciti dal set di The Mandalorian. In uno o due punti risente del “sovraffollamento” o della “fretta di raccontare” di cui si parlava sopra, ma è un problema imputabile più alla sceneggiatura di Sacks che alla messa in scena.
In conclusione: una partenza non esente da qualche difetto ma che nel complesso regala divertimento, crea belle atmosfere e stuzzica l’interesse. Con qualche correzione di tiro a livello di ritmo e di approfondimento, che speriamo di vedere nei prossimi numeri, Bounty Hunters può sperare di ripetere il successo del suo progenitore televisivo. Questa è la via!