Star Trek: Picard 2x02 e 2x03: la recensione
Star Trek: Picard prende il volo, e si spinge là dove Gene Roddenberry aveva già osato prima (e non una volta sola): la nostra recensione degli episodi 2 e 3
Il fandom di Star Trek si divide tra chi crede che Q sia uno dei personaggi migliori mai creati nella storia della televisione e chi ha torto. Il fatto che la seconda stagione di Star Trek: Picard abbia deciso di riportare a bordo John de Lancie, imbiancato dagli anni ma sempre con la stessa luce di lucida follia in fondo agli occhi, è già garanzia di qualità a priori, quasi fideisticamente. E dopo un episodio introduttivo che serviva essenzialmente a preparare il campo per il ritorno dell’entità divina con la passione per i giochi, le prove e i test, abbiamo capito anche come mai Amazon ha deciso di darci in anteprima i primi tre capitoli della stagione, per poi chiederci di andare avanti insieme al resto del pubblico: Penitenza e Assimilazione funzionano come un episodio unico, e servono, di fatto, per rifare quello che già faceva Guarda le stelle : un lungo riposizionamento di tutte le pedine, legato a una scelta narrativa che ha già fatto in passato, e più volte, la fortuna di Star Trek.
Due episodi in stile Roddenberry
Non solo: la timeline esiste perché nel 2024 è successo qualcosa, e l’unico modo per sistemare l’intero continuum spazio-temporale è tornare indietro nel tempo per prevenirlo. In altre parole, la seconda stagione di Star Trek: Picard è una combo di due classiche mosse roddenberry-iane: la realtà parallela, nella quale ritroviamo, mutati e spesso pervertiti, gli stessi elementi che caratterizzano la “realtà reale” e il viaggio nel tempo, che permette ai personaggi di confrontarsi con usi, costumi, tradizioni e soprattutto culture passate e primitive – anche quando queste appartengono al nostro futuro. La realtà assomiglia a una versione sci-fi-ma-non-troppo del nostro: il salto al 2024 permette ad Akiva Goldsman, Michael Chabon e al resto della squadra autoriale di usare Picard per fare commenti – ficcanti ma finora non troppo originali – sulla nostra condizione attuale, in perfetto stile Star Trek quindi.
Una stagione ricca di sorprese e con meno filosofia
Avrete già capito da queste poche righe che la seconda stagione di Star Trek: Picard è ambiziosa, molto più di quanto lo fosse la prima, che era piuttosto un viaggio introspettivo nei meandri del dolore, della malattia e della vecchiaia. L’intero cast sembra più rilassato e felice di potersi sfogare in un contesto diverso, e questo a sua volta aiuta a dare a questi due episodi una gamma di toni più ampia di quella a cui ci aveva abituato la serie; si ride di più ma si rimane anche più spesso a bocca aperta, e soprattutto si viene continuamente sorpresi. C’è (per ora) meno filosofia, meno sguardi rivolti alle stelle a rimuginare sul senso della vita, e più voglia di mettere davvero alla prova questi personaggi così accuratamente descritti nella stagione precedente; in particolare c’è la promessa di una soluzione potenzialmente esplosiva al problema-Jurati, l’unico personaggio della serie a non avere fatto alcun passo avanti da quando è comparsa in scena la prima volta.
Come nella migliore delle tradizioni delle serie a cadenza settimanale, Assimilazione si chiude con un cliffhanger. E vista la quantità di idee che sono state riversate nei primi tre episodi, e la curiosità di sapere che direzione prenderà la storia, aspettare il prossimo episodio sarà una tortura. In questo senso, Star Trek: Picard ha già vinto.