Star Trek: Discovery 2x04, "Un obolo per la Charon": la recensione

Episodio fiacco per Star Trek: Discovery, che trova i propri punti di forza nell'ottima interpretazione di Doug Jones nei panni di un malatissimo Saru

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L'episodio di Star Trek: Discovery di questa settimana, Un obolo per la Charon, sottolinea ancora una volta il rientro della serie nel tracciato più tradizionale del franchise, attraverso l'inserimento di due tropoi tipici della storia della saga: la nave stellare intrappolata e un morbo che affligge uno o più membri dell'equipaggio. Sulla carta, una combo perfetta per garantire ritmo e azione, che però in questo specifico caso si traduce in una puntata verbosa e non del tutto riuscita.

Un obolo per la Charon si apre con il debutto di Rebecca Romijn nel ruolo di Numero Uno, primo ufficiale del Capitano Pike (Anson Mount) sull'Enterprise; un personaggio noto ai fan di Star Trek, poiché presente nel primissimo pilot Lo zoo di Talos nelle fattezze di Majel Barrett (poi passata a interpretare l'infermiera Christine Chapel, infelicemente innamorata di Spock). L'apparizione di Numero Uno è piuttosto veloce, ma ci lascia comunque col desiderio di rivederla nei prossimi episodi.

L'ufficiale giunge sulla Discovery per consegnare a Pike i risultati delle proprie indagini su Spock, ricercato dalla Flotta Stellare per omicidio. Grazie a queste informazioni, Pike si mette sulle tracce di Spock e ordina alla Discovery di inseguire il fuggitivo. Tutto questo rappresenta un dilemma per Burnham (Sonequa Martin-Green), che si rende conto che l'ultima cosa di cui abbia bisogno Spock sia un eventuale faccia a faccia con la sorella con cui non parla da anni.

Alla ricerca del (mezzo) vulcaniano, la Discovery finisce intrappolata in una rete generata da una gigantesca entità spaziale vecchia 100.000 anni, che manda in tilt il traduttore universale della nave, il che dà vita ad alcuni trai i momenti migliori dell'episodio, con Burnham e Pike  che iniziano a parlare Klingon, e l'intero ponte nel caos mentre l'equipaggio urla in diverse lingue senza riuscire a comprendersi.

A risolvere la questione interviene un (apparentemente) raffreddatissimo Saru (Doug Jones): è infatti lui il membro dell'equipaggio afflitto da una strana patologia specifica della sua misteriosa razza, i Kelpian, che viene colpita dalla malattia che li porta, nel giro di poco, alla morte. La performance di Jones è molto toccante nella sua vivida rappresentazione dell'accettazione del proprio destino, e la trama permette a lui e Martin-Green di indagare sul rapporto coi rispettivi fratelli.

Inoltre, Star Trek si fa ancora una volta portavoce di un dibattito attualissimo, quello sull'immigrazione: la storia di come lo straniero Saru abbia cercato e trovato una vita migliore dopo aver lasciato la sua terra natia instaura un parallelismo per nulla celato con la realtà contingente e questioni all'ordine del giorno tanto in Europa quanto negli Stati Uniti. Tuttavia, la forza drammatica dell'episodio è fiaccata dalla fumosità della minaccia iniziale: si parla moltissimo, in Un obolo per la Charon, tanto da mettere in ombra le non poche azioni che ne portano avanti la trama.

Nel frattempo, viene portata avanti anche la trama relativa a Tilly (Mary Wiseman), nuovamente preda dell'entità aliena che si è manifestata precedentemente nella forma della sua ex compagna di studi May. A fronteggiare la minaccia, stavolta, c'è l'immancabile Stamets (Anthony Rapp) affiancato da un'improbabile alleata: Reno (Tig Notaro), ricomparsa ora dopo il suo debutto nella premiere di stagione. Le interazioni tra i due gettano le basi per un rapporto conflittuale, ma anche di una proficua collaborazione derivata dai loro approcci diametralmente opposti alle questioni.

Il problema, anche qui, è che l'intera faccenda May sta accusando il peso della propria ripetitività; ci auguriamo che Star Trek: Discovery trovi una rapida risoluzione per questa trama o che, quanto meno, la spinga in una direzione nuova, poiché la stanchezza di scrittura inizia a farsi sentire ed è quanto di più nocivo possa esistere per una serie con un alto numero di episodi per stagione.

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