Star Trek: Discovery 2x14, "Un dolore così dolce - Parte 2" (finale di stagione): la recensione
Il finale di stagione di Star Trek: Discovery è un atto d'amore nei confronti della storia del franchise, che spinge la serie verso nuovi orizzonti ignoti
Un dolore così dolce - Parte 2 è figlio di una stagione che ha sollevato un gran numero di domande a cui non sempre ha dato efficace risposta; tuttavia, in linea con il nuovo corso di Star Trek: Discovery, si inserisce con efficacia all'interno del canone preesistente, puntando a colmare le lacune dovute alle troppe linee narrative intrecciatesi finora grazie a un'accurata trattazione dell'universo psicologico dei propri personaggi, una superba gestione degli effetti visivi e alcuni momenti di pura epica come solo i migliori capitoli della saga hanno saputo offrirci nel corso dei decenni.
Detto questo, il tentativo da parte degli autori della serie di spiegare in via definitiva il motivo per cui non abbiamo mai sentito parlare di Burnham, del motore a spore o della Discovery nelle serie precedenti ha meno successo. Spock (Ethan Peck) e Pike (Anson Mount) mentono alla Flotta Stellare sul destino della nave, prendendo al contempo la decisione di cancellare fondamentalmente la Discovery e il suo equipaggio dai libri. Le ragioni non sono tuttavia così solide quanto dovrebbero: certo, il viaggio nel tempo e i riferimenti all'Angelo Rosso devono rimanere segreti per evitare una qualsivoglia interferenza del Controllo, e si suppone che ciò sia vero anche per il motore a spore. Ma Michael Burnham ha comunque iniziato la guerra Klingon, e ci sembra piuttosto difficile riuscire a cancellare un fatto del genere dagli annali.
Inoltre, Star Trek: Discovery sembra fornire il punto di partenza per la risoluzione del dilemma di Spock tra fede e scienza, accennato all'inizio della stagione e poi abbandonato. "L'universo non ha alcun obbligo di dare un senso", osserva Spock. In questo episodio, egli compie un atto di fede assai poco vulcaniano: sceglie di confidare nella riuscita della missione di Michael e della Discovery, e questo mette in luce quel lato umano che, per chiunque abbia seguito The Original Series, faceva già allora capolino con fulgida bellezza tra le crepe della sua corazza vulcaniana. In tal senso, l'ultimo dialogo tra Michael e Spock commuove e innamora non solo per il passato a cui fa riferimento, ma anche per il destino del giovane: nelle parole della donna e nell'esortazione al fratello di trovare una guida è impossibile non leggere un riferimento a Kirk, il capitano che Spock affiancherà per quasi tutta la vita.
Sono momenti come questi che danno tridimensionalità a una serie come Star Trek: Discovery. Non si tratta di mero fan service, ma di sincero e ponderato omaggio che arricchisce il canone; lo si può apprezzare o meno, ma gli va riconosciuta una limpida onestà. Per chiunque sia disposto ad accettare la serie a dispetto delle sue occasionali debolezze di sceneggiatura, Discovery allargherà i propri orizzonti in modo spettacolare, non lesinando in emozioni e regalando quel coinvolgente finale in cui Spock compare sul ponte di comando dell'Enterprise con la sua storica uniforme azzurra, finalmente sbarbato e pettinato come l'iconico personaggio incarnato agli albori da Leonard Nimoy. Non è imitazione, ma saggia fioritura di un materiale preesistente, e in quel rispettoso e suggestivo segno vogliamo sperare che Star Trek: Discovery prosegua il proprio viaggio nella terza stagione, salutando a malincuore un ventitreesimo secolo di cui ci ha mostrato luci e ombre.