Star Trek: Discovery 1x01 e 1x02, la recensione

Ha debuttato felicemente Star Trek: Discovery, donando un nuovo smalto al franchise creato da Gene Roddenberry grazie a un ritmo incalzante

Condividi
"Molti, dicendo cose giuste, fanno cose ingiuste." Questa semplice frase dello storico Senofonte, vissuto a cavallo tra V e IV secolo a.C., descrive bene uno dei dettami base di molta letteratura d'ambientazione bellica. Per aumentare l'interesse di un lettore - o, nel caso di cinema e televisione, di uno spettatore - nei confronti di uno scontro tra due parti, meglio dargli l'illusione che la ragione non sia appannaggio di uno schieramento specifico e che gli errori diplomatici possano avvenire, talvolta, anche in nome della pace. Si apre con questo sempreverde relativismo di facciata Star Trek: Discovery, nuova declinazione dell'universo ideato negli anni '60 da Gene Roddenberry, ambientato un decennio prima rispetto agli eventi che coinvolsero il celeberrimo Capitano Kirk e il suo equipaggio nella cosiddetta serie classica.

A questa nuova creatura seriale a lungo attesa - frutto di un travaglio prolungato tanto da spingere Bryan Fuller a ritirarsi dal ruolo di showrunner pur restando produttore esecutivo - va riconosciuto, innanzitutto, il merito di aver ripreso le redini del marchio Star Trek che, in tv, aveva conosciuto con Enterprise un momento di inequivocabile fiacchezza creativa. I due episodi che aprono la stagione gettano le basi ideali per la gemmazione dell'attenzione del pubblico, attraverso la costruzione di una protagonista, il primo ufficiale Michael Burnham (interpretato con vibrante intensità da Sonequa Martin-Green) umano ma cresciuto tra i vulcaniani. Come tradizione impone, Burnham ha un trauma sepolto nel proprio passato, che tornerà a galla proprio nel momento cruciale dell'incontro con un gruppo di Klingon, guerresco popolo alieno ostile alla Federazione.

Chi abbia dimestichezza con la serie classica o con una delle sue svariate derivazioni (The Next GenerationDeep Space NineVoyager e la già citata Enterprise) godrà del beneficio di immediate coordinate familiari: dalla presentazione del padre spirituale di Burnham, quel Sarek (interpretato qui da James Frain) che generò l'iconico signor Spock, alla delineazione sempre più chiara della minaccia Klingon, antichi avversari della Federazione e deputati, in Discovery, a simboleggiare senza troppe sottigliezze le minacce del terrorismo di stampo islamista (il riferimento alla purezza della fede e alla necessità di riunire clan tribali separati sotto l'egida unica della guerra tra civiltà sono tra gli ovvi riferimenti presenti nelle due puntate). Come già successo nel glorioso passato della serie, anche qui ci troviamo di fronte alla traslazione di un clima politico reale in uno spazio fantascientifico: il collante tra spettatore e spettacolo viene quindi rafforzato, facendo appello a sentimenti e paure che sono portate alla nostra attenzione quotidianamente.

Due soluzioni formali inedite intervengono a impreziosire la grammatica narrativa di Star Trek: Discovery rispetto ai suoi predecessori: i pochi ma utili flashback, che ci mostrano Burnham bambina, rimasta orfana dopo un attacco dei Klingon (incongruenza rispetto alla dichiarazione secondo cui "nessuno ha più visto Klingon da quasi cento anni") e all'inizio del suo servizio presso la USS Shinzou, comandata dal capitano Philippa Georgiou (interpretata da Michelle Yeoh). Il focus sul personaggio di Burnham aumenta sensibilmente il grado d'empatia provato nell'osservare il suo eroismo sfociare in decisioni talvolta catastrofiche per il suo entourage. L'altra saggia innovazione è legata alla scelta di dedicare un considerevole quantitativo di tempo agli accadimenti in corso sull'astronave Klingon, dove il carismatico T'Kuvma (interpretato da Chris Obi) sta organizzando la sua crociata contro la Federazione, tentando di ottenere la fiducia di tutti i diversi clan del suo popolo.

La rappresentazione dei Klingon segue, passo dopo passo, tutte le regole dettate dal cinema e dalla televisione statunitense: i suoi leader vengono descritti, sulla carta, come onorevoli guerrieri insofferenti alle mire espansionistiche e assimilatrici della Federazione, orgogliosi della propria identità, pronti all'estremo sacrificio di sé in nome di una causa i cui contorni politici, per ora, non risultano molto chiari. Il discorso tenuto da T'Kuvma catalizza la nostra ammirazione su di lui solo perché le alternative ci sembrano ancor più sanguinarie di ciò che questo valoroso paladino xenofobo ambisce a incarnare. Sarebbe miope e inconcludente puntare il dito contro l'uso - e abuso - di questi cliché antropologici in un contesto come quello di Star Trek: Discovery; ed è certo prematuro tentare un'analisi più approfondita del messaggio veicolato dallo scontro tra la Flotta Astrale e i clan Klingon.

Per ora, la serie ideata da Fuller e da Alex Kurtzman sembra essere partita col piede giusto, almeno dal punto di vista del ritmo e della gestione dei propri personaggi principali; non manca, ovviamente, il corrispettivo di turno dell'ormai archetipico Spock, il kelpien Saru sotto il cui impressionante make-up prostetico si celano i lineamenti di Doug Jones (irriconoscibile di professione dopo Il Labirinto del FaunoThe Shape Of Water, di prossima uscita). Nuovi personaggi verranno introdotti nel terzo episodio, come lascia presagire la cupa conclusione di La Battaglia delle Stelle Binarie, mentre il fato della protagonista ha preso una piega tutt'altro che rassicurante. Se il ritmo delle prossime puntate si manterrà incalzante come quello mostrato in questo felice esordio, coadiuvato da una cura visiva ammirevole per un prodotto destinato al piccolo schermo, Star Trek: Discovery sarà valso tutto il prezzo della sua lunga attesa.

Continua a leggere su BadTaste