La stanza delle meraviglie (2023), la recensione

Le tipiche coordinate degli ultimi film di Lisa Azuelos vengono riproposte con enfasi ancora maggiore ne La stanza delle meraviglie

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La nostra recensione de La stanza delle meraviglie, dal 12 luglio al cinema

Le coordinate su cui si muovono gli ultimi film di Lisa Azuelos sono ormai consolidate. Le protagoniste sono madri alla prese con un difficile rapporto con i figli tale da mettere in discussione il proprio ruolo, che riscoprono se stesse attraverso il viaggio in una terra straniera. Storie sempre commoventi raccontate dalla regista senza mai far sconti sull'aspetto emotivo. Cosa succede allora se queste vengono inserite nel più ruffiano dei filoni, quello legato alla malattia?

La stanza delle meraviglie racconta di Thelma, la cui vita viene sconvolta quando il figlio dodicenne Louis viene investito da un tir e entra in coma. Trova per caso una lista che il bambino aveva scritto sul suo diario che riguardano "le cose da fare prima di morire". Nella speranza di aiutarlo a risvegliarsi, decide allora di esaudire tutti i suoi desideri e intraprende un viaggio che la porterà dal Giappone al Portogallo.

Inseguendo le volontà del figlio, Thelma si butta così in mille avventure, liberandosi di tutti i freni e tutte le sue paure, in un inatteso ritorno alla vita che la porta a riallacciare idealmente i legami col proprio bambino. Il film è tutto girato dal punto di vista della donna, che si muove imperterrita per la sua strada e supera tutti gli ostacoli. Anche quando tutti le dicono che sbaglia qualcosa, lei persevera e dimostra di avere ragione. Proprio facendo i conti con le passioni di Louis (lo skate, i manga, l'immersione), il film dimostra che tutto quello che lo riguarda viene filtrato dallo sguardo genitoriale, che arriva a comprendere aspetti che prima non accettava, ma non smuovendo di una virgola le sue convinzioni. La regista ci chiede di immedesimarci con la protagonista, col suo dolore e con la sua parabola, ritraendo una figura esemplare senza zone d'ombra. Ma non sta solo qui l'ingenuità dell'operazione.

Non si contano infatti le forzature dell'intreccio, come segnali di risveglio che arrivano proprio nei momenti giusti, giovani skaters che non si fanno problemi ad aiutare la madre nella sua missione (!), apparizioni improvvise che servono da facili metafore. Tutto questo in una storia che chiaramente arriva dove vuole arrivare e dove era prevedibile che arrivasse, senza mai inserire un conflitto o un punto di rottura, sempre sotto il segno di sentimentalismo esasperato, tra abuso di ralenti e musiche sdolcinate. "Niente può fermare l'amore infinito di una madre per il proprio figlio" dirà poi verso la fine la voice over della protagonista: come se, dopo un martellamento emotivo e narrativo lungo 90 minuti in questa direzione, il concetto non fosse ancora abbastanza chiaro.

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