Squid Game: la recensione

Squid Game rielabora storie già viste attraverso una formula entusiasmante, dal ritmo veloce, pura goduria narrativa

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Squid Game: la recensione

Il successo strabordante della serie tv Squid Game è una sorpresa, ma solo fino ad un certo punto. La fortuna di ogni prodotto dipende da una combinazione di fattori difficili da decidere a tavolino, ma questo show sudcoreano ha dalla sua un'intelligenza enorme nel capire cosa funziona e come raccontarlo. Potrà essere derivativo – e lo è, tantissimo – ma ha anche la capacità di rielaborare storie già viste attraverso una formula entusiasmante, dal ritmo veloce, dai caratteri immediati e vincenti. È pura goduria narrativa, nel suo mix di survival game, racconto per immagini, personaggi sopra le righe e riferimenti giusti piazzati nel posto giusto. Non è nulla di originale, ma è soprattutto un perfetto manuale di come si realizza oggi un prodotto vincente.

Centinaia di persone immerse nei debiti e senza una via d'uscita, sono avvicinate e portate a partecipare ad un grande gioco collettivo. Già dalla prima prova, basata su 1, 2, 3, Stella, si capisce che il rischio di morte è altissimo, e che qui per aggiudicarsi il ricco premio finale bisogna mettere sul piatto della bilancia la cosa più preziosa, l'unica che è rimasta: la propria vita. Il protagonista principale è Gi-hun, ma da subito impareremo a conoscere altri personaggi, tutti molto caricati. C'è Sae-byeok, una giovane in fuga, Sang-woo, ex uomo d'affari molto spregiudicato, Il-nam, un anziano malato, Deok-su, un gangster. Di prova in prova, il numero dei concorrenti si assottiglierà.

Trovare i riferimenti di Squid Game, voluti o meno, è facile. Quel che è difficile è mettere ordine in questo caos di storie già narrate e inquadrare la serie coreana per il successo che è riuscita ad essere. Per fare un esempio, due anni fa era uscita sempre su Netflix una serie giapponese chiamata Alice in Borderland, peraltro tratta da un manga. Aveva la stessa trama, ma non è riuscita ad essere il fenomeno che invece è questa. Perché? Squid Game, va detto subito, è immediato. È facile. È diretto. Ha l'idea molto intelligente di essere basato su giochi per bambini riletti in chiave sanguinolenta. Fallire significa morire, e tanto basta, perché si punta all'immediatezza non dovendo spiegare nulla.

Squid Game si spiega da sé utilizzando immagini molto intelligenti. Gli organizzatori del gioco indossano (chissà se è un caso) delle tute che ricordano quelle di La casa di carta, con tanto di maschere. Ci sono pulsantoni, grandi numeri, colori sgargianti. Le morti sono annunciate come in Hunger Games e Battle Royale, il primo gioco è 1, 2, 3, Stella come As the Gods Will, l'interno della struttura ha dei colori sgargianti che accentuano la dimensione giocosa come Fall Guys o Takeshi's Castle. E il riferimento ad un gioco non dovrebbe sorprenderci. Squid Game questo è, e il legame con lo spettatore è lo stesso che si creerebbe con chi assiste ad una competizione a eliminazione serrata e divertente.

Certo, nella sua distopia competitiva c'è una palese critica al capitalismo, alla società egoista, alle vite strozzate e private di significato, all'arrivismo a tutti i costi. Ma, sempre per restare sul paragone con La casa di carta, tutto è abbastanza in superficie. E non tiene conto di una contraddizione fondamentale: lo spettatore casuale che si esalta per i giochi e non vede l'ora di vedere il successivo non è diverso dal riccone che scommette su chi ce la farà, o gode quando un personaggio che odiava muore. E tutto questo è narrato benissimo: la serie contiene la sua storia nei suoi nove episodi, ci fa affezionare ai personaggi, o ce li fa odiare, lavora molto bene sulle singole prove, ognuna memorabile a modo suo, ed è una visione trascinante fino al finale.

In un momento in cui tutti cercano la formula per riuscire a funzionare, Squid Game è un esempio di modello vincente.

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