Spy, la recensione

Probabilmente è la sorpresa della stagione estiva Spy, parodia che non è tale ma commedia raffinata, piena di idee e umorismo vero, quello che ha un senso

Critico e giornalista cinematografico


Condividi
Spy
Il più grande successo di Paul Feig, Le amiche della sposa, si rivela anche il più fuorviante.
Creatore della serie tv, Freaks and Geeks (capitolo cardinale della nuova comicità americana da cui ha avuto origine tutto il gruppo che ruota intorno a Judd Apatow), regista per la tv di serie comiche fondamentali come Arrested Development o The Office, è diventato noto dirigendo film in cui le donne prendono lo spazio solitamente riservato agli uomini (Corpi da reato), quasi sempre in coppia con il corpo comico femminile fondamentale di questi anni: Melissa McCarthy. Eppure nessuno di questi film aveva mai messo davvero in luce le sue capacità di scrittura. Spy, progetto non solo diretto ma anche scritto da Feig e pensato tutto intorno a Melissa McCarthy, è quindi da considerarsi un'altra storia.

L'idea, in piena linea con quanto fatto fino ad ora da Feig e McCarthy, è di mettere in scena il mondo visto dalle donne ai margini. Non ai margini in quanto donne ma in quanto donne non convenzionali, non aderenti a quello che la società pretende dal loro corpo, troppo grasse o troppo alte e sgraziate, non sexy ma, nell'ovvio ribaltamento comico, più brave di tutti, specie degli uomini. Per enfatizzare ancora di più la situazione vissuta dalla maggior parte delle donne viene scelto il contesto estremo dello spionaggio nello stile di James Bond, di alto livello, sofisticato, sexy e desiderabile, il mondo meno adatto a Susan Cooper, addestrata per essere un agente ma da anni relegata a fare la spalla agli uomini, li segue dagli uffici, gli suggerisce cosa fare, dove andare e gli salva la vita occasionalmente. Loro fanno la vita della spia internazionale, lei invece vive la mestizia della vita da ufficio. Questo fino a che non sarà necessario mandare sul campo qualcuno di sconosciuto a tutti, una persona "invisibile" che nessuno noterà mai...
La categoria del film è, alla fine, quella della parodia, ma l'umorismo è di un livello superiore a tutto quello che abbiamo visto dal duo (non solo più divertente ma anche più intelligente) e la parte cinefila di ammiccamento agli spy movie è marginale.

A Paul Feig e Melissa McCarthy interessa mostrare senza metterci troppa enfasi un modello di donna come ne esistono molte, messa ai margini dalle proprie insicurezze e dalla società ("Donne...." sospira il capo, donna, della protagonista quando capisce come mai per anni sia stata in un angolo), senza essere troppo indulgente con il genere femminile, bastonato con buona lena e soprattutto ritratto con asperità quando si tratta di mettere in scena le donne come il mondo degli uomini desidera che siano. Il risultato è un film divertente di un umorismo molto migliore della media, finalmente poco centrato sul fisico di Melissa McCarthy (l'errore fino ad oggi è stato considerarla un John Belushi al femminile) e più che altro sulla parola e sulla scrittura. Personaggi come quello di Jason Statham ne sono un esempio ma anche la maniera sottile in cui si fa strada Miranda Hart non si vede di frequente al cinema.

Lontanissimo da qualsiasi idea di "femminismo" Spy è un film che ha superato la battaglia tra i sessi e vuole allargare a figure mai raccontate quello che la commedia fa da sempre: ritrarre individui messi ai margini perchè per caratteristiche congenite non aderiscono a quello che il mondo pretende da loro. La rivincita delle sfigate non è solo un banale capovolgimento ma, grazie a Feig, introducendo caos in un ambiente rigidamente codificato riesca ad affermare qualcosa grazie ad un nuovo punto di vista su un sistema che pensiamo di conoscere. Il sistema nel film è il mondo delle spie del cinema, fuori dal film è la società.

Continua a leggere su BadTaste