Sputnik, la recensione | Trieste Science+Fiction Festival 2020

Sputnik, opera prima di Egor Abramenko, convince gli spettatori con il suo insieme di citazioni ai cult del genere e un approccio narrativo originale al tema del "compagno" di viaggi

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Arriva dalla Russia uno dei film più apprezzati dalle giurie e dal pubblico del Trieste Science+Fiction Festival 2020: Sputnik, opera prima di Egor Abramenko, ha più di un punto di contatto con opere di genere sci-fi hollywoodiane, pur riuscendo a distinguersi e trovando una propria identità.

Il lungometraggio è ambientato nel 1983 quando la navetta Orbit-4 torna sulla Terra dopo essere brevemente scomparsa dai radar. Il comandante ha perso la vita, mentre Konstantin (Pyotr Fyodorov) è sopravvissuto, venendo messo sotto osservazione in una base scientifica segreta. I militari chiedono così l'aiuto di Tatyana (Oksana Akinshina), una neuropsicologa a cui viene affidato l'incarico di capire i motivi dell'amnesia del cosmonauta. La scienziata si ritroverà però ben presto alle prese con la scoperta che dentro l'uomo c'è una creatura aliena.

L'influenza di opere come Alien o Arrival, in particolare nella prima metà del film è evidente, e Sputnik riesce a costruire una buona tensione e un'atmosfera suggestiva che coinvolge gli spettatori. La sceneggiatura di Oleg Malovichko e Andrey Zolotarev inizia però a perdere un po' di compattezza nella seconda parte del racconto, quando emergono gli intrighi politici e le dinamiche complicate tra i personaggi, mettendo in secondo piano tutti gli aspetti narrativi legati alla creatura e alla ricerca scientifica. La storia si evolve così verso un finale che, nonostante regali più di una sorpresa, non è del tutto all'altezza delle aspettative create con un primo atto davvero convincente.

Abramenko si dimostra comunque un regista di talento, in grado di gestire i propri interpreti e le scene sospese tra horror e thriller psicologico senza sbavature, confezionando visivamente un progetto ricco di sfumature che si concede il tempo di approfondire la storia dei personaggi, in modo da avere delle basi solide necessarie a sostenere gli elementi sci-fi.
Alcune delle sequenze, come il primo incontro tra Tatyana e la creatura o i primi minuti ambientati nello spazio, dimostrano la dimestichezza raggiunta dietro la macchina da presa dal filmmaker russo nonostante si tratti del suo primo lungometraggio. Abramenko, supportato dall'ottimo lavoro compiuto dal direttore della fotografia Maxim Zhukov, riesce a costruire un mondo realistico e ben radicato nelle idee sociali e politiche sovietiche degli anni '80, sfruttandolo a proprio favore per sostenere gli elementi, davvero classici, legati alle opere sci-fi.

Fyodorov e Akinshina riescono a costruire il rapporto tra Tatyana e Konstantin in modo convincente nonostante la sceneggiatura abbia più di un passaggio a vuoto nella rappresentazione di quanto accade all'interno della base militare, mentre l'idea del "compagno" di viaggi che ispira il titolo del lungometraggio risulta un interessante spunto di riflessione sul lato oscuro che esiste in ogni individuo, ovviamente non di origine aliena nella vita reale. Fedor Bondarchuk non può invece allontanarsi di molto dagli stereotipi del villain tra le fila dell'esercito e i personaggi secondari rimangono delineati a grandi linee senza particolare attenzione, ma questo non impedisce a Sputnik di intrattenere, in particolare gli appasionati di genere, inserendosi senza difficoltà tra i titoli indipendenti che potrebbero ottenere l'attenzione su piattaforme di streaming o con una distribuzione nelle sale ben studiata.

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