Split, la recensione
Parte semplice e diventa sempre più complesso Split, una trama essenziale che si arricchisce fino ad un clamoroso colpo finale
È una costruzione inusuale, possibile solo con la tecnica che padroneggia M. Night Shyamalan, capace di comporre ogni inquadratura per suggerire, abile nel lavorare su ogni angolo dello schermo, posizionando oggetti, facendoli muovere o scegliendo in ogni istante il punto migliore per raccontare una data scena per mettere l’accento sulla componente che gli interessa.
Dopo il meraviglioso ritorno alla semplicità e all’essenzialità di The Visit, Split è ancora un film piccolo ed essenzialeC’è una dottoressa che studia il fenomeno delle personalità multiple. I suoi pazienti non solo hanno tantissime personalità ma in loro la convinzione di essere diversi è tale che il corpo segue la mente. Quello che lei vorrebbe provare è che in effetti il suo caso più clamoroso, un ragazzo con 23 personalità differenti che si alternano, riesce a modificare alcuni tratti del suo fisico per adattarsi a persone differenti. Alcune hanno allergie che altre non hanno, alcune piccole differenze cutanee oppure problemi fisici che le altre non presentano. Quello che però noi abbiamo visto è che mentre era una di queste personalità, una ossessionata dalle ragazzine, ha rapito tre ragazze e le tiene prigioniere in un antro.
In chiusura poi un colpo di scena inatteso riscrive tutto quel che abbiamo visto, aggiungendo l’ultimo clamoroso livello di lettura che lo inserisce in un universo più ampio. Impossibile parlarne senza fare il più ingiusto e immeritato degli spoiler. Eppure anche senza questa piccola grande trovata, tra il marketing e il divertissement (che scatena scenari e ipotesi selvagge), Split rimane un solidissimo thriller che con la fatica opportuna cerca un posto nel cinema moderno per questo genere sempre meno praticato.