Spiritfarer, un gioco pieno di vita che parla di morte | Recensione
Tra Stardew Valley e l'esistenzialismo, Spiritfarer è il nuovo titolo di Thunder Lotus Games che fa stare bene
Fatevi questa domanda: quanti esseri viventi avete ucciso nel corso della vostra carriera videoludica? Esseri umani, nazisti, alieni, mostri, demoni, cani, gatti, canarini, lupi, bisonti, balene, pesci di ogni genere e razza, razze di ogni genere e... pesce?, entità immortali infere e superne, funghetti e tartarughe... a meno che non giochiate esclusivamente a simulatori sportivi (ma non quelli di caccia e pesca) e a Solitario di Windows, il vostro body count in carriera ha senza alcun dubbio più zeri di quelli che servono sul conto in banca per condurre una vita agiata fino alla quinta generazione. E ora rispondete a questo: quante di queste morti hanno davvero lasciato un segno nella vostra vita?
SimCaronte 2020
Spiritfarer è un gioco sul passare a miglior vita, nel quale ogni singola morte è un evento centrale, decisivo, il motivo per cui esiste tutta l’impalcatura. È un simulatore di Caronte che compie la crudelissima scelta di introdurre un cast di personaggi già morti e intrappolati nel limbo, in attesa che le nostre azioni facciano far loro pace con il loro passato e li preparino al momento del trapasso definitivo. Non esistono armi, non esistono pericoli, non esiste sistema di combattimento eppure farete fatica a trovare un altro gioco uscito quest’anno che affronti l’argomento “decesso” in maniera più efficace e ficcante – e lo scriviamo ben consapevoli del fatto che nel 2020 è uscito The Last of Us Parte II.
L’impepata di cozze
Spiritfarer però non è un simulatore di attraversamento di fiumi infernali a bordo di una barchetta; assomiglia piuttosto a uno Stardew Valley (o Harvest Moon, o Animal Crossing) nomade, nel quale alla fattoria si sostituisce la barca di Stella e nel quale donare cibo a un passeggero non è un modo per aumentare la compatibilità sentimentale e fare un passo avanti verso la proposta di matrimonio ma un gesto di cura e affetto verso l’anima di una persona ormai morta ma ancora impreparata a compiere il grande passo nell’aldilà. Il gioco diventa così un curioso mix tra una visual novel (ogni nuovo spirito che arriva sulla barca ha una lunga storia alle spalle da raccontare, che rivela sempre più dettagli sulla sua vita e sullla sua morte), un gioco d’avventura (ogni nuovo spirito che arriva sulla barca ha richieste, domande, pressanti questioni da sottoporre a Stella che la costringono a viaggiare qui me là per il mare interno dell’aldilà in cerca di ingredienti segreti e buffi NPC), un life sim (o forse un death sim) e un platform.
Raccontato così Spiritfarer sembra un’impepata di cozze, un coacervo di stimoli e ispirazioni agglomerate in un’unica massa informe; in realtà il design dietro alla storia di Stella, e il modo in cui i mille sistemi diversi interagiscono tra di loro, si arricchiscono e acquistano senso se messi sullo sfondo delle vicende degli spiriti, lo rende un miracolo di bilanciamento e una costante cascata di idee. L’inizio è semplice, dolce, accogliente: la barca di Stella è piccina, gli spiriti sono pochi, le loro richieste banali, la mappa a disposizione minuscola e racchiusa entro confini che promettono di venire superati con l’oggetto giusto. Si comincia con il tagliare qualche albero per avere i materiali per costruire la prima casetta degli ospiti, si prosegue edificando un giardino per coltivare frutta e verdura e una cucina per preparare la cena, e si finisce a correre in giro per un ponte gremito di edifici di ogni tipo inseguendo comete color arcobaleno.
L’aldilà e il micromanagement
Il vero motivo per cui Spiritfarer funziona così bene, però, è perché è disegnato per tutte le tipologie di gamer possibili. È un’avventura grafica con animazioni deliziose che si può giocare in compagnia di una persona non adulta per introdurla all’idea della morte, ed è una collezione di toccanti riflessioni sul tempo che passa e sulla nostra mortalità che colpiranno duro chiunque abbia l’età per filosofeggiare su questi temi.
Ma è anche un videogioco, ricchissimo ed estremamente variegato, il genere di simulatore che ti coinvolge con la promessa di un paio d’alberi da tagliare e finisce con il trascinarti in una tana del Bianconiglio nella quale per avere un foglio di acciaio ti serve un lingotto di ferro e un po’ di carbone, ma per avere il lingotto di ferro ti serve il minerale di ferro e una fonderia dove fonderlo, solo che per avere il minerale di ferro devi migliorare la barca ed equipaggiarla con un rompighiaccio per raggiungere la miniera che ti serve, e per migliorare la barca devi avere completato una richiesta di uno dei tuoi passeggeri, e così via, in una matrioska di interazioni e micromanaging costante che si fa sempre più complesso e frenetico man mano che la barca si allarga e il numero di strutture attive si moltiplica.
Turista dell’aldilà fai-da-te
La meraviglia vera è che è possibile ignorare ciascuna delle due anime di Spiritfarer e godersi comunque il gioco. Volete divertirvi a sperimentare con il (ricchissimo) sistema di ricette, coltivare ogni tipo di albero possibile, costruire un’efficientissima catena di montaggio che vi permette di produrre tonnellate di yogurt in breve tempo, e ignorare le richieste dei vostri passeggeri, o trattarle come una qualsiasi subquest di un qualsiasi videogioco ignorandone il portato emotivo e le profonde riflessioni? Nessuno vi vieta di farlo, e Spiritfarer è talmente ricco, anche di segreti, che comunque riuscirete a ricavarne qualche decina di ore di soddisfazione. Al contrario, non ve ne frega nulla di coltivare patate e fondere metalli e volete solo fare la conoscenza del cast di personaggi che accompagnano Stella in quello che è in parte anche il suo viaggio? Siete liberi di fare anche questo: ogni nuovo spirito dedica un po’ di tempo a introdurre il giocatore a qualche nuovo sistema, e la quantità di risorse che si trovano esplorando il mondo di gioco è più che sufficiente per soddisfare ogni richiesta senza dover dedicare tempo al grinding.
In entrambi i casi però vi perdereste qualcosa: Spiritfarer funziona al suo meglio quando il pomodoro che state amorevolmente annaffiando, o il tonno che state sudando per catturare, vi servono per far felice Atul, lo zio-rana, o Gustav, il gallerista postmoderno. Una delle lezioni più ricorrenti nel corso del gioco è l’importanza della pazienza, del saper aspettare, del prendersi il proprio tempo, anche senza fare nulla, e di non affrettare le decisioni; e il gioco incoraggia anche il giocatore a farlo, ad abbracciare i tempi morti – c’è, per esempio, un ciclo giorno-notte che impedisce alla barca di viaggiare quando cala il sole, invitando il giocatore a prendersi cura della barca, tosare le pecore, nutrire le galline, preparare un po’ di farina – e a godersi anche le piccole cose. In questo senso è geniale l’idea di trasformare la raccolta e creazione di risorse in una collezione di minigiochi, il migliore dei quali è senza alcun dubbio il mini-guitarhero che serve per accelerare la crescita delle piante nel giardino.
La morte ti fa bella
Spiritfarer si chiude con la conta dei morti più alta di sempre per un gioco senza alcun sistema di combattimento, e ognuna di queste morti è solo un pezzo di un mosaico più ampio, di una riflessione a tutto tondo (e per, e su, tutte le età) su cosa significhi passare a miglior vita e, di conseguenza, su cosa significhi vivere. La sua natura così personale e intima comporterà necessariamente che non tutto colpisca allo stesso modo, e che chiunque ci giochi rimarrà più o meno colpito da una o più delle singole storie narrate, e ne troverà altre meno interessanti o meno stimolanti. Ma sono dettagli insignificanti (e forse anche rischi calcolati da parte dello sviluppatore) rispetto al quadro complessivo, che è quello di uno dei giochi più stimolanti e grondanti personalità che si siano visti in questi anni – un’opera che parla della morte e che fa sprizza amore per la vita da ogni pixel.