The spirit of '45, la recensione

Senza mai nascondere il proprio parzialissimo punto di vista, ma con una forza filmica non comune, Ken Loach racconta la nascita del welfare state britannico dopo la Seconda Guerra Mondiale...

Critico e giornalista cinematografico


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C'è la neutralità, l'equilibrio, la parzialità, la faziosità esibita, c'è il livello "Michael Moore" e poi c'è Ken Loach.
Il suo documentario sullo spirito del 1945 racconta quel che successe quando, finita la Seconda Guerra Mondiale, in una Gran Bretagna in ginocchio come molti altri stati nella quale una classe operaia particolarmente stufa di essere miserabile e soprattutto terrorizzata di finire nella medesima situazione che seguì la fine della prima guerra mondiale (disoccupazione, disperazione, abusi, corruzione ecc. ecc.) prese coscienza di sé.
Con la consapevolezza (prima iniezione di Loach nella storia) che un gruppo unito e coordinato di uomini poteva sconfiggere addirittura il fascismo, la classi più povere votarono in massa il partito laburista, sconfiggendo Churchill (che pure aveva vinto la guerra) e decretando una maggioranza schiacciante. Quel che seguì fu la nazionalizzazione di moltissimi settori, la creazione del welfare state moderno, la sanità pubblica per tutti, pianificazione edilizia seria, ecc. ecc.
Tutto quello che poi a partire dalla fine degli anni '70, e con una buona accelerazione durante il periodo Tatcher, è stato privatizzato.

Neanche a dirlo Loach individua nel primo movimento (la nazionalizzazione) il massimo del bene, la fonte di ogni felicità e benessere mentre nel secondo (la privatizzazione) la causa d'ogni male moderno. 
Per fare questo mescola con una bravura non comune materiale di repertorio in alcuni casi fenomenale (c'è un comizio tenuto durante una raffica di vento straordinario e alcune inquadrature di treni e binari che sono impressionanti) a materiale cinematografico a tema bellico, fino ad interviste realizzate oggi a molti ultraottantenni che hanno vissuto il periodo raccontato e ne ripercorrono i punti più importanti, confondendo storia grande e storia piccola, storia nazionale con storia privata, aneddoti commoventi di povertà estrema, fiducia nelle istituzioni e salvezza tramite la nazionalizzazione con i caposaldi della storia del secondo dopoguerra.
Il risultato è perfetto, perchè Loach riprende in bianco e nero anche le interviste realizzate ora per fonderle con il materiale di repertorio, trova testimoni che sono anche abili narratori e monta tutto non necessariamente in ordine cronologico ma con il giusto gusto per il raccordo inusuale e significativo.

Eppure tanta perfezione non fa che esporre con maggiore forza il fatto che probabilmente non debba essere lui la persona più adatta a questo tipo di operazioni. Lasciare che degli ottuagenari fondano la nostalgia per quando erano giovani, all'idealismo di ciò in cui hanno creduto, alla sfiducia nei tempi moderni con infine delle serie considerazioni sull'attualità o sul futuro (!) dà infatti gli esiti prevedibili e probabilmente sperati dal regista.
The spirit of '45 è due cose insieme. Da una parte è il tentativo di Ken Loach di scrivere - lui personalmente - la storia, assegnare torti e ragioni, dare un punto di vista e condizionare i rapporti causa/effetto, dall'altra vuole porsi come una possibile risposta all'incertezza moderna, parlare del disastro degli anni '30 per alludere a quello contemporaneo e proporre una soluzione. Solo che la suddetta risposta ai problemi dell'oggi è ESATTAMENTE quella di ieri, senza cambiare nulla, si basa sull'idea che ogni male (droga inclusa) venga dalla privatizzazione. Non si fa menzione ad esempio di come sia cambiato il mercato mondiale, dell'emergere delle nuove tecnologie o di come la privatizzazione e il capitalismo aggressivo abbiano consentito al Regno Unito di rimanere una potenza economica mondiale anche in un tempo di crisi mondiale.
Del resto Loach è così. Non ha ottant'anni ma il mondo che sogna è quello che esiste nei dolci ricordi degli anziani comunisti.

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