Spiral – L’eredità di Saw: la recensione

Spiral – L’eredità di Saw è un thriller ultraviolento fincheriano che è al contempo molto familiare e parecchio sorprendente

Condividi
Cosa vi aspettate da un film che porta fieramente il marchio “Saw” già nel titolo? Trappole mortali, violenza insopportabile, apparente sadismo che maschera motiviazioni più profonde che certamente non giustificano, ma sicuramente aiutano a empatizzare con il killer... In Spiral – L’eredità di Saw tutto questo c’è, e in quantità più che discrete (seppur ridotte rispetto ai precedenti otti film della saga); eppure il ritorno al timone di Darren Lynn Bousman coincide anche con l’uscita del meno Saw di tutti i Saw, talmente poco Saw da portare un altro titolo e da usare John Kramer/Jigsaw solo come icona di stile, modello da seguire da parte del (o della) cosplayer di turno invece che suo (o sua) mentore.

Spiral – L’eredità di Saw si svolge in un mondo post-Saw, nel senso che quando un poliziotto di una non meglio specificata città americana viene trovato morto e senza lingua sui binari della metropolitana la prima cosa a cui l’intero corpo di polizia pensa è: “Sarà un copycat di Jigsaw?”. Più ancora che negli ultimi capitoli del franchise principale, Spiral presenta una realtà nella quale Jigsaw è diventato talmente virale che ci si aspetta sempre che da un momento all’altro possa comparirne l’ennesima imitazione. L’unico che non ci crede è il vero protagonista del film – e anche questa è una novità rispetto agli otto capitoli precedenti –, il detective disilluso e cinico Zeke Banks, interpretato dallo stesso Chris Rock che sta dietro all’intero progetto.

Spiral Chris Rock

L’idea di prendere Saw e di trasformarlo in un thriller alla Fincher con neanche tanto vaghi echi di buddy cop e quasi di commedia è sua, e suo è il personaggio intorno a cui ruotano tutti gli omicidi (ce ne sono un po’, come da tradizione, e un paio entrano di diritto nell’olimpo dei migliori della saga). Invece di concentrarsi sul killer, le sue motivazioni e le sue trappole, Spiral mette in soffitta l’aspetto survival di Saw per concentrarsi sul giallo, sull’intricata rete di corruzione, bugie e violenze che tiene in piedi il dipartimento di polizia, e sui legami che alcuni degli episodi più deprecabili hanno con Zeke, con suo padre Marcus (Samuel L. Jackson) e con il capitano Angie (Marisol Nichols).

A fungere da sguardo esterno e avatar di chi guarda c’è l’immancabile detective giovane e inesperto che viene affiancato al burbero veterano: si chiama William ed è interpretato da un ottimo Max Minghella, che riesce a ritagliarsi il suo spazio a suon di silenzi e sguardi esasperati a fianco di un Chris Rock che recita tutto il film con il volume a undici. È proprio questo uno dei segreti di Spiral: la struttura più tradizionalmente thriller permette a Bousman di sperimentare con una varietà di toni e registri insoliti in una saga tipicamente monocromatica (letteralmente e metaforicamente) come quella di Saw. Non tutto funziona come dovrebbe, e soprattutto quando c’è da gestire più storyline contemporaneamente Spiral va un po’ in confusione e dà l’impressione che avrebbe giovato di una seconda passata in sala di montaggio. Ma in cambio riceviamo una spruzzata di colori insolita per Saw, e persino qualche momento comico, ed è tutto molto benvenuto.

E poi c’è la considerazione che, come tutti i thriller, Spiral si giudica soprattutto dal finale; e in questo senso mantiene tutte le promesse.

Continua a leggere su BadTaste