Spiral – L’eredità di Saw: la recensione
Spiral – L’eredità di Saw è un thriller ultraviolento fincheriano che è al contempo molto familiare e parecchio sorprendente
L’idea di prendere Saw e di trasformarlo in un thriller alla Fincher con neanche tanto vaghi echi di buddy cop e quasi di commedia è sua, e suo è il personaggio intorno a cui ruotano tutti gli omicidi (ce ne sono un po’, come da tradizione, e un paio entrano di diritto nell’olimpo dei migliori della saga). Invece di concentrarsi sul killer, le sue motivazioni e le sue trappole, Spiral mette in soffitta l’aspetto survival di Saw per concentrarsi sul giallo, sull’intricata rete di corruzione, bugie e violenze che tiene in piedi il dipartimento di polizia, e sui legami che alcuni degli episodi più deprecabili hanno con Zeke, con suo padre Marcus (Samuel L. Jackson) e con il capitano Angie (Marisol Nichols).
A fungere da sguardo esterno e avatar di chi guarda c’è l’immancabile detective giovane e inesperto che viene affiancato al burbero veterano: si chiama William ed è interpretato da un ottimo Max Minghella, che riesce a ritagliarsi il suo spazio a suon di silenzi e sguardi esasperati a fianco di un Chris Rock che recita tutto il film con il volume a undici. È proprio questo uno dei segreti di Spiral: la struttura più tradizionalmente thriller permette a Bousman di sperimentare con una varietà di toni e registri insoliti in una saga tipicamente monocromatica (letteralmente e metaforicamente) come quella di Saw. Non tutto funziona come dovrebbe, e soprattutto quando c’è da gestire più storyline contemporaneamente Spiral va un po’ in confusione e dà l’impressione che avrebbe giovato di una seconda passata in sala di montaggio. Ma in cambio riceviamo una spruzzata di colori insolita per Saw, e persino qualche momento comico, ed è tutto molto benvenuto.E poi c’è la considerazione che, come tutti i thriller, Spiral si giudica soprattutto dal finale; e in questo senso mantiene tutte le promesse.