Spider-Man: Alla Grande!, la recensione

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Quando Stan Lee iniziò a scrivere Spider-Man negli anni '60, Peter Parker era un liceale diciassettenne in grado di costruirsi da solo dei lanciaragnatele perfettamente funzionanti. Si trattava sicuramente di un ragazzo con l'intelligenza ben al di sopra della media, ma cosa è riuscito a farne in tutti questi anni? Diventare un professore di scuola superiore, scambiare qualche chiacchiera tecnologica con Tony Stark e riuscire a sostenere una conversazione scientifica con Reed Richards.
Non è poi granché per il supereroe di punta in casa Marvel, così Dan Slott nel proporre l'ennesimo rilancio del personaggio ha deciso di far vivere a Peter una vita degna della sua mente.  Nella miniserie in quattro episodi Big Time (tradotto in italiano con Alla Grande!), Peter trova un lavoro come ricercatore alla Horizon Labs, non deve più destreggiarsi tra strambi coinquilini ma ha un suo appartamento di tutto rispetto, e anche la sua vita sentimentale sembra tornata a filare per il verso giusto grazie alla relazione con l'adorabile, e un po' nerd, Carlie Cooper. Sul fronte supereroistico il Tessiragnatele è tra le fila dei Vendicatori, ma non disdegna qualche pattuglia notturna in coppia con la Gatta Nera, che sembra alquanto interessata ad entrare nel supergruppo. Nel frattempo incombe la minaccia di Hobgoblin, dietro la cui maschera ormai non sa più chi possa celarsi...
La trama è interessante, anche se risultano più interessanti le vicende della vita quotidiana di Peter Parker impegnato a stabilire il suo nuovo status quo piuttosto che quelle del suo alter-ego arrampicamuri, ma non è detto che questo sia per forza un elemento negativo... Il difetto più grande è il montaggio troppo serrato nella prima parte della vicenda, con una struttura quasi schizofrenica che passa fin troppo rapidamente da un contesto narrativo a un altro in un ottovolante di scene che durano una o due tavole, forse per il desiderio di mostrare troppi elementi e personaggi senza però dare loro il respiro necessario.  Le tavole di Humberto Ramos sono una gioia per gli occhi, grazie al suo stile caratteristico riesce a reinterpretare tutti i personaggi con un look cartoonesco che all'occorrenza riesce a rappresentare al meglio le sequenze di tensione o le scene più drammatiche.

Se questa prima miniserie è il piatto forte della terza uscita della collana di allegati "Supereroi Il mito", per arricchire la foliazione del volume ne è stata scelta la naturale prosecuzione, ovvero il ciclo di storie pubblicato dopo di essa su The Amazing Spider-Man. Forse La vendetta dell'Ammazzaragni risulta una lettura meno memorabile nel complesso, ma è comunque piacevole seguire come si evolvono le vicende personali di Peter di cui erano state gettate le basi nelle puntate precedenti. Indossata la tuta da aracnide dovrà affrontare un'altra volta il robot costruito appositamente per distruggerlo e, anche se al suo interno non c'è più J.J. Jameson come nella sua prima apparizione, è da segnalare che il personaggio è comunque presente nella storia, con una storyline sul Daily Bugle e sulla sua nuova carriera di sindaco che riesce ad offrire alcuni momenti davvero ben scritti e anche qualche sorpresa per gli sviluppi futuri...
Saggia la scelta dell'italiano Stefano Caselli alle matite il cui stile, pur se differente da quello di Ramos, ne prosegue in un certo senso la strada, volendo allontanarsi da un look visivo prettamente realistico.

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