Spencer, la recensione | Venezia 78

Spencer di Pablo Larraín è un ritratto magnifico di Lady Diana, in cui Kristen Stewart regala la sua migliore performance

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Spencer, la recensione | Venezia 78

Siamo decisamente dalle parti di Jackie ed effettivamente l’obiettivo è lo stesso, ovvero raccontare attraverso pochi e intimi momenti un periodo complesso di due donne sull’orlo del baratro, messe contemporaneamente ai margini e al centro della Storia recente. Spencer di Pablo Larraín è però, molto più del suo precedente, un ritratto magnifico, asciutto ma perfettamente a fuoco di Lady Diana, in cui la visione di Larraín si allinea al millimetro con la penna di Steven Knight.

Il connubio è perfetto come perfetta all’occhio - ma solo a quello - è l’ambientazione in cui Diana si muove. Il film infatti si svolge durante i tre giorni che Diana (Kristen Stewart) ha passato con la famiglia reale nella magnifica dimora di campagna di Sandringham House durante il Natale del 1991, quando la sua relazione col principe Carlo era ormai alla deriva e la sua salute mentale era già irrimediabilmente compromessa (oltre ad essere depressa soffriva di bulimia). A farle forza ci sono solo i piccoli William e Harry e la sua inserviente e amica Maggie (Sally Hawkins), ma la mano ferma della famiglia reale e insieme il comportamento ostile e disperato di Diana non fanno che rendere quella apparente favola un vero incubo.

Il contrasto tra la consistenza in carta da zucchero delle immagini, dentro le quali si costruiscono degli interni fiabeschi e curatissimi (ci si vorrebbe immergere dentro) e invece l’interiorità tormentata di Diana e il suo disagio costante, è la chiave di lettura che Larraín trova e porta a compimento senza alcun tipo di sbavatura. Ma soprattutto, Spencer è Kristen Stewart decisamente ai suoi massimi livelli: la sua performance è in un certo senso strana, inizialmente spiazzante ma poi talmente magnetica, particolare, commossa che la macchina da presa ne rimane letteralmente incantata.

Di questi tre giorni di Diana lo sceneggiatore Steven Knight sceglie di raccontare soprattutto il rapporto della principessa con la sua infanzia perduta e il suo rapporto malato con il cibo. Il personaggio dello chef e il modo in cui viene rappresentata la cucina in generale potrebbe sembrare collaterale e invece è un elemento essenziale: le scorte di cibo vengono rappresentate come un carico d’armi, una delicata zuppa all’ortica e un desiderato soufflé alle albicocche diventano simboli di traumi ben più difficili da digerire, una cella frigorifera si trasforma in una sala interrogatoria. Allo stesso modo ma con valore opposto, solo i piccoli William e Harry riescono a portare Diana fuori dal buio, sono i suoi alleati e la sua ragione di vita. A loro due Spencer regala forse la scena più bella, dove il gioco tra Diana e i suoi figli, il modo in cui dialogano e le cose che si dicono riassumono in pochi scambi il loro legame, le loro frustrazioni, il loro amore.

A stridere c’è solo il goffo parallelismo con Anna Bolena in cui Diana qui si rivede, un elemento anche un po’ troppo didascalico e ripetuto che non sembra aggiungere ulteriori livelli di lettura. Per tutto il resto, Spencer è un ottimo film, emozionante ma mai indulgente con la sua protagonista, che riesce nell’impresa difficilissima di proporre una prospettiva originale sulla storia di Lady Diana.

Cosa ne dite della nostra recensione di Spencer? Scrivetelo nei commenti!

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