Spectre, la recensione
Forse è l'ultimo film della serie con Daniel Craig, di certo Spectre chiude, il reboot di 007, un arco narrativo molto preciso tutto all'insegna della morte
Spectre tira le fila di tutto. Inizia durante la parata del dia de los muertos a Città del messico, con Bond travestito da morto (e Casino Royale iniziava con la sua prima uccisione per poi terminare con la morte di Vesper Lynd, evento e personaggio che ha infestato tutti gli altri film, incluso quest'ultimo), e porta le trame dei precedenti film sotto un unico ombrello che non è difficile immaginare essere quello del titolo, la nota organizzazione criminale. Anche nel finale ci sarà un momento in cui le diverse morti dei precedenti 3 film (sia dalla parte dei villain, sia da quella dei "buoni") vengono rievocate e addirittura, forse per la prima volta in tutta la serie, il suicidio (e dunque la morte) di un personaggio diventa un momento fondamentale. Ciò che prima non contava niente (se non nel bellissimo Al servizio di sua maestà) qui è fondamentale: ogni morto, anche tra i cattivi, pesa.
Tutto questo tirare le fila di una trama più grande è sicuramente la parte più interessante del film, il suo svelare misteri accumulati, scavare nelle storie precedenti e arrivare al compimento di un percorso. Perchè per il resto il quarto film con Daniel Craig non è eccezionale, non brilla nè per inventiva nè per coolness (sempre minore) del personaggio. Stretto tra presente e passato in molti modi, Bond anela ai vecchi tempi ma è prigioniero dei nuovi (se non proprio nemico dei nuovi), desidera un vodka martini e gli portano una spremuta di verdure, sospira guardando una vecchia Aston Martin ed è costretto a rubarne una nuova, vorrebbe essere Connery o Moore (un dandy raffinato e divertito dal mondo dello spionaggio internazionale) mentre è costretto ad essere Jason Bourne, un campagnolo dalle mani grosse e lo scarso savoir faire. Addirittura in un momento di crisi, si produrrà in un goffo tentativo di impedire la visione di un video, finendo ovviamente malmenato a terra grottescamente, là dove un vecchio 007 si sarebbe signorilmente rassegnato con classe. Non sono errori, chiaramente, ma decisioni in piena linea con molte altre da non rivelarsi in questa sede e con i film precedenti: levare il mito e aggiungere un impossibile realismo (che non si rispecchia nel resto delle scene, come sempre dolcemente assurde).
La nuova gestione Wade/Purvis (con il beneplacito di Barbara Broccoli) ha deciso sostanzialmente di cambiare quale parte della vita del personaggio viene osservata. Se prima lo guardavamo quasi solo in azione e in seduzione, con una piccola eccezione "amministrativa" per i siparietti all'MI6 (che comunque è lavoro), ora lo vediamo anche nella vita privata, lo vediamo in molti di quei momenti prima nascosti. Non è cambiato più di tanto il personaggio (che sempre in treno lotta, sempre sul tavolo da poker vince, sempre in luoghi esotici viaggia, sempre con le Aston Martin corre) ma la porzione di vita che i film raccontano e quindi il ritratto che ne danno. Forse guardare 007 con la stessa ingenua credulità di un tempo è troppo complesso (Casino Royale, il migliore della serie era più un buon action movie che un buon Bond-movie) perchè siamo cambiati decisamente più noi che lui. Ora si può dire sia "più umano" ma in realtà è solo meno mitologico e quindi un po' più dimesso, alle prese con i medesimi banali problemi degli altri eroi.