Speciale Dylan Dog 32: Il Pianeta dei morti - Nel nome del figlio, la recensione
Abbiamo recensito per voi la nuova storia di Dylan Dog ambientata nel Pianeta dei morti
Torna l'appuntamento annuale con il Dylan Dog de Il pianeta dei morti, storyline in cui i deceduti camminano sulla Terra accanto ai viventi e la quotidianità procede in un equilibrio estremamente labile, con le persone che varcano continuamente la soglia tra realtà, follia, sogni e ricordi.
Nel nome del figlio, trentaduesimo appuntamento della collana Speciale Dylan Dog dedicata da diverso tempo all'universo creato da Alessandro Bilotta, va a concentrarsi per la prima volta su un personaggio completamente inedito: Godwin Dog, figlio di Dylan e di Sybil Browning (primo volto a essere comparso su Dylan Dog 1: L'alba dei morti viventi), il quale sarà protagonista di un racconto totalmente sopra le righe e al di fuori di qualunque schema visto in precedenza sul titolo.
Se il conflitto è il motore narrativo di ogni racconto, la crasi tra una narrazione così atipica e il tratto iconico di Giampiero Casertano crea un contrasto molto marcato, al punto tale da rendere difficilmente digeribile questo brossurato per lo stomaco del lettore occasionale. Ciò che viene percepito dalle immagini è qualcosa di fortemente tradizionale, sia nella gestione della pagina sia nella tecnica di raffigurazione, ma il contenuto metatestuale della trama è qualcosa che travalica ogni forma convenzionale di racconto propria dell'eroe di Sergio Bonelli Editore.
L'intera vicenda può essere scomposta in tre diversi piani, ognuno filtrato dagli occhi di un diverso protagonista: Dylan, Sybil e Godwing. Questi tre filoni si intrecciano in scene che a un primo sguardo possono sembrare frutto della fantasia, ma le cui conseguenze appaiono tutt'altro che intangibili. Se con il precedente Nemico pubblico n. 1 lo sceneggiatore romano si è interrogato sul tema dell'identità, con questa storia sembra spezzare l'ultimo filo che legava l'Io e il Super-Io dell'inquilino di Craven Road, rispettivamente incarnati dalla sua anima romantica (Sybil) e dal suo bagaglio razionale (Godwing), i quali prendono strade diverse, destinate a collidere solo in momenti particolarmente traumatici e in luoghi altamente simbolici.
Al termine della lettura è possibile fare due considerazioni su questo numero, una "di pancia" e una "di testa". Volendo basarsi unicamente sull'emotività, l'intero sviluppo della vicenda è un pugno nello stomaco, soprattutto se si riesce a raggiungere il giusto grado di immedesimazione in Dylan e nel suo status psico-emotivo. Lasciarsi trasportare implica non fare alcuna resistenza alle montagne russe della (non)vita e dare per "vere" tutte le scene che si susseguono nel corso delle tavole. Qualora, invece, si volesse fare un ragionamento prettamente razionale ricomponendo i diversi punti di vista come fossero un puzzle con pezzi mancanti, ciò che resta è ugualmente un dramma familiare molto profondo, da osservare come una rappresentazione teatrale intrecciata con maestria e piena consapevolezza di scrittura e montaggio delle singole scene.
Per quanto riguarda il discorso delle citazioni, tratto distintivo della collana, è doveroso segnalare la copertina firmata da Marco Mastrazzo, la quale raffigura l'Indagatore dell'Incubo fuoriuscire dalla sua stessa tomba nell'identica posa assunta da Eddie the Head sulla copertina del disco Live After Death, degli Iron Maiden, titolo perfettamente in linea con la storia all'interno. Inoltre, alle spalle di Dylan è possibile leggere un altro elemento presente anche sull'illustrazione citata che fa riferimento alla linea che separa la morte dalla nuova vita: l'epitaffio sulla sua lapide che richiama un celebre aforisma di Howard Phillips Lovecraft.
Non è morto ciò che può attendere in eterno, e col volgere di strani eoni anche la morte può morire.