Special (seconda stagione): la recensione

La seconda stagione di Special arriva su Netflix due anni dopo la precedente, non solo a completare, ma a migliorare quella prima annata

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Special (seconda stagione): la recensione della serie Netflix

La seconda stagione di Special arriva su Netflix due anni dopo la precedente, non solo a completare, ma a migliorare quella prima annata. In questi nuovi otto episodi, generalmente più lunghi dei precedenti, Ryan O'Connell sembra avere acquisito una maggiore capacità di gestione dell'intreccio. La serie riesce ad essere più tagliente e ad affidarsi maggiormente al puro piacere del racconto, piuttosto che "accontentarsi" della specialità del suo protagonista. Ne deriva un maggiore coinvolgimento rispetto alle vicende dei tre protagonisti, anche se con qualche sbavatura nei toni della vicenda.

Al centro della storia c'è sempre la vicenda semiautobiografica di Ryan Hayes, interpretato dallo stesso O'Connell. Omosessuale e affetto da una paralisi cerebrale, vive le sue due condizioni di specialità rispetto al mondo in una continua condizione di accettazione e rifiuto. Ciò che lo rende speciale potrebbe anche definirlo eccessivamente ed esclusivamente agli occhi del mondo. E Ryan non è convinto di volere questo, considerato che di recente il suo rapporto con la madre Helen (Jessica Hecht) si è fatto più difficile e i due si sono allontanati. Seguiamo quindi le storie di Ryan e di sua madre, alle quali si aggiunge quella di Kim Laghari (Punam Patel), collega e amica di Ryan.

Per quel che vale, la seconda stagione di Special potrebbe essere quasi vista a sé. Si lega agli eventi della prima, ma O'Connell probabilmente è anche consapevole del tempo che è trascorso, e riesce a imbastire delle trame nuove che si seguono facilmente. Gli episodi sono più lunghi della prima stagione, in cui a volte si fermavano anche a dodici minuti, e tutto tende verso un discorso più approfondito sui personaggi. A spiccare è per tutti i protagonisti la difficoltà nel rapportarsi con i genitori, che sono sempre fonte di dolore e incomprensione. Non perché cattivi, ma perché troppo distanti come mentalità e esperienze.

Special tuttavia tende al riscatto e alla comprensione. Cerca di essere conciliante – fin troppo probabilmente – e scaccia via ogni amarezza. Non ha il passo o la grande scrittura delle serie "autobiografiche" degli ultimi anni che hanno raccontato realtà minoritarie, però fa il suo ed è una visione piacevole.

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