Spartacus: la recensione del series finale
Un concentrato di tensione, emozioni e dramma nell'attesa ultima puntata della serie di Starz
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Lo sentite questo rumore? È il suono di centinaia di cuori che battono, sanguinano e si spezzano all'unisono fino a formare una melodia di morte sul campo di battaglia. E, in mezzo al fragore delle spade, come un secondo miracolo operato dal portatore della pioggia, nessuno di loro si perde nel suono degli altri ma ad ognuno viene concesso il suo momento da solista nell'attimo del congedo dalla vita e dalla Storia che quasi duemila anni fa ne ha decretato la triste fine. Dalla polvere dell'arena a quella del campo di battaglia, al crocevia tra mito, destino, libera scelta e necessità storica, esplode in un finale intenso come pochi l'epilogo dell'epopea del trace che riuscì a far tremare un gigante.
Spartacus ci lascia con un urlo e una parola che sembra morirgli sulle labbra: Victory. Arrivati a questo punto, all'inevitabile disfatta dell'esercito ribelle contro l'armata di Crasso, è un termine che sa quasi di beffa, un tentativo disperato di voler invertire il corso degli eventi, il rifiuto di piegarsi a quanto già sapevamo che sarebbe accaduto quattro anni fa, quando un gladiatore senza nome (allora aveva le fattezze del compianto Andy Whitfield) sbaragliava i suoi primi nemici. Eppure, a conclusione del vortice di emozioni che quest'ultima ora è in grado di regalare, dal montaggio iniziale che cita apertamente la versione di Stanley Kubrick con quel "io sono Spartacus!" ripetuto più e più volte dai vari protagonisti, all'ultimo istante dei titoli di coda tra i più belli che si ricordino, non sembra esserci parola migliore per descrivere ciò che abbiamo visto.
Il lungo scontro finale riesce ad essere carico di tensione e a tenere un ritmo costante per tutta la sua durata tanto grazie agli avvenimenti clamorosi che lo scandiscono quanto alla buona ed equilibrata regia di Jacobson (che aveva diretto il pilot e che in Vengeance ci aveva raccontato la distruzione dell'arena di Capua) che alterna brevi panoramiche dall'alto a scene più ravvicinate che seguono i protagonisti durante l'azione. Impossibile poi non notare, a partire dal background, una serie di analogie con il Braveheart cinematografico (le strategie di Spartacus ma anche la stessa idea di Crasso di sacrificare i propri uomini pur di uccidere i ribelli che riprende in pieno una soluzione del film di Gibson). Forse troppe concessioni alla spettacolarizzazione nell'utilizzo delle catapulte ma anche nella possibilità per vari personaggi di morire fra le braccia di qualcun'altro nel bel mezzo del campo di battaglia senza che nessuno intervenga (ma d'altra parte stiamo parlando di Spartacus).
Il finale è una lunga e straziante passerella di morte che non nega a nessun personaggio il suo personale climax. Lo show ha gioco facile nel puntare tutto sull'emotività del momento, ma va detto che ogni occasione viene ben sfruttata costruendo un'escalation nel carico drammatico di ogni morte, nel legare ogni momento tragico al successivo, nella suggestione del ricordo e della nostalgia con le apparizioni di alcuni personaggi scomparsi da tempo. E se la morte di Naevia in fondo non colpisce come dovrebbe (ma l'antipatia nei confronti del personaggio non aiuta), l'estrema fine di Gannicus, il più amato, il vero dio dell'arena tra i protagonisti, che si erge tra i corpi della via Appia per andare – anche solo con la mente – a morire là dove il suo spirito è forse sempre rimasto ad attenderlo è un'immagine potentissima.
E poi Spartacus. A un attimo dallo scolpire con la lama il proprio posto nella Storia si ferma l'avventura del trace. Perché vittoria allora? Nell'attimo del sacrificio finale Spartacus ha compiuto il passo finale del suo percorso, un percorso che lo ha visto ergersi a simbolo di libertà e individualità. Contro l'anonima e indistinta marea rossa dei Romani si è schierato infatti un gruppo di anime vive e di cuori pulsanti, un gruppo in cui Spartacus – in fondo non era nemmeno il suo nome – non era più il comandante ma solo uno dei tanti uomini liberi. "Io sono Spartacus" grida ognuno di loro, e in effetti lo è, nel momento in cui questo cessa di essere un nome ma diventa un simbolo e un ideale di libertà e come tale eterno. Per questa riflessione, e per tutti i bei momenti che la serie ci ha regalato: gratitude.
"One day Rome shall fade and crumble, yet you shall always be remembered in the hearts of all who yearn for freedom"