Chiaramente pensato per il cinema e condannato dalla situazione attuale a uscire direttamente su Netflix in contemporanea mondiale,
Space Sweepers si presenta come “il primo blockbuster spaziale coreano”, una sorta di risposta di Seoul a
Star Wars, solo con una ventina di milioni di dollari a disposizione invece che dieci volte tanto, ma anche la fortuna di non dover costruire una storia basandosi su un franchise arcinoto, ma di potersi inventare un universo da zero. E Jo Sung-Hee (
A Werewolf Boy), che
Space Sweepers l’ha scritto e diretto, è uno con delle idee fortissime e originali in campo fantascientifico: da anni,
dice lui, è ossessionato dai rifiuti spaziali, dai pezzi di satelliti e astronavi e stazioni spaziali che inevitabilmente l’umanità sta accumulando a ritmo sempre più alto nell’orbita terrestre; e quindi si è inventato un futuro (siamo nel 2092) nel quale non solo la Terra è diventata un inferno inospitale a causa dei soliti motivi che potete bene immaginare, ma nel quale la fascia povera della popolazione cerca di guadagnarsi da vivere raccogliendo, per l’appunto, rifiuti spaziali, e rivendendoli ai ricchi&potenti che li ricicleranno per i loro scopi ricchi&potenti.
Facciamo così la conoscenza dell’astronave spazzina Victory, guidata da Jang, una tizia che vola nello spazio con gli occhiali da sole e gira sempre armata con fucili sproporzionatamente grandi. Jang comanda una piccola ciurma che comprende anche Tae-ho, ex soldato convertitosi alla non-violenza e per questo caduto in disgrazia, il cui unico scopo nella vita è ritrovare la figlia perduta; Tiger Park, ex signore della droga che vorrebbe accumulare abbastanza denaro da sparire per sempre; e Bubs, un androide senziente il cui sogno è avere i soldi per farsi costruire un corpo in carne e ossa. Una classica ciurma raffazzonata di reietti che vivono ai confini della legge, alla Firefly per intenderci, e come nella serie di Whedon anche in Space Sweepers è una clandestina a bordo a rompere il precario equilibrio della vita di bordo. È una bambina, Dorothy, ma forse è un androide che contiene una bomba a idrogeno, e forse la sua posizione interessa sia al padre, sia a un gruppo terroristico, sia al mega-cattivo di turno (interpretato da un divertitissimo Richard Armitage), CEO della multinazionale che ha costruito una serie di colonie orbitanti nelle quali i ricchi vanno a svernare mentre i poveri rimangono sulla Terra a respirare robaccia irrespirabile.
Dovrebbe essere chiaro che
Space Sweepers non è né particolarmente originale, né particolarmente sottile nei suoi messaggi: è una tipica storia di rivalsa spaziale dove il proletariato si ribella ai padroni, con al centro una figura salvifica incarnata, anche qui molto classicamente, da una bambina (o è un’androide?) innocente. Per fortuna però, Jo Sung-Hee compensa una certa aderenza ai facili archetipi con l’entusiasmo e una buona dose di creatività registica. Nonostante duri più di due ore,
Space Sweepers sembra un classico film da novanta minuti per come si muove costantemente a un ritmo altissimo, inanellando una serie di sequenze d’azione spaziale girate e montate con abbastanza fantasia da mascherare un budget non elevatissimo; c’è talmente tanta voglia di buttare spunti e idee sul tavolo, talmente tanto worldbuilding, che
Space Sweepers si dimentica per strada almeno un paio di storyline perché, semplicemente, non ha tempo di risolverle, perché nel frattempo c’è da mostrare un’altra precipitosa fuga della Victory inseguita da 96 droni da combattimento, o in alternativa c’è da costruire pezzo dopo pezzo i personaggi e il loro rapporto con Dorothy così da farci affezionare e lasciarci a fine film con la voglia di vedere un sequel per tornare a passare del tempo sulla
Victory. Intendiamoci, siamo lontani dalla perfezione, formale e sostanziale, e la lista dei difetti di
Space Sweepers è lunga come la distanza Terra-Marte; ma per quanto possa essere sgangherato e derivativo, è anche un film di fantascienza animato da uno spirito avventuroso che negli ultimi anni si vede raramente nella sci-fi hollywoodiana, e che è contagioso e impossibile da non amare.