Sound of Freedom - il canto della libertà, la recensione
Il film-scandalo della scorsa estate americana, accostato ai cospirazionisti di QAnon, è un concentrato di propaganda reazionaria.
La recensione di Sound of Freedom, il nuovo film diretto da Alejandro Monteverde, al cinema dal 19 febbraio.
Anche a non sapere chi c’è dietro la sua realizzazione o i dubbi che circondano il protagonista Tim Ballard, c’è poco da fare: Sound of Freedom è un film pensato a tavolino per parlare alla pancia di uno spettatore-tipo reazionario e religiosamente radicalizzato. Quella che sulla carta sarebbe una storia di eroismo in difesa dei deboli, viene comunicata dal film in modi che nutrono una visione del mondo priva di sfumature, paranoica verso le istituzioni statali (“la burocrazia è una merda, per questo opero in nero”) legata alla difesa di valori estetici e culturali che stanno da qualche parte fra gli slogan di Capitol Hill e un sermone di suprematisti bianchi della Bible Belt - zona degli Usa a maggior percentuale cristiana, coincidente con gli stati del Sud e parte del Midwest.
Sempre a questo proposito, è ironico che un film schierato contro la pedofilia (come se ci fosse qualcuno che invece è a favore) possa poi fare un uso così ricattatorio, al limite del pornografico, dell’immagine dei bambini che interpretano le giovani vittime. Tutti rigorosamente bellissimi e angelici, scelti per schiacciare a tavoletta il pedale della cuteness e titillare gli istinti protettivi del pubblico, diventano l’arma retorica di un discorso che da difesa degli ultimi sfuma progressivamente nel familismo più becero e facile. Non serve tirare in ballo QAnon per vedere in Sound of Freedom un’inquietante operazione di propaganda culturale, il cui clamoroso successo accende un campanello d’allarme sulla radicalizzazione ideologica che interessa oggi una parte d’America.