Soulblight, un roguelike difficile da amare, impossibile da odiare - Recensione
Un rogulike che strizza l’occhio a Dark Souls: la recensione di Soulblight
Lorenzo Kobe Fazio gioca dai tempi del Master System. Scrive per importanti testate del settore da oltre una decina d'anni ed è co-autore del saggio "Teatro e Videogiochi. Dall'avatara agli avatar".
Come vedremo, questa non è l’unica caratteristica che Soulblight eredita dal capolavoro di From Software, ma è certamente quella che si impone sin da subito, quando ci si ritrova catapultati nell’atrio del Santuario, un tempo bastione in difesa dell’Albero della Vita, oggi fucina di demoni di ogni forma, fonte del male che sta lentamente avvelenando il mondo.
Il guerriero senza nome che ha il compito di riportare pace e ordine si troverà invischiato in una missione estremamente complessa, resa tanto difficile sia per i molti e fortissimi nemici che dovrà fronteggiare, altro punto in comune con il titolo di Hidetaka Miyazaki, sia perché, per l’appunto, sulle prime si fatica e non poco ad assimilare le regole che determinano la progressione.
Proprio per questo, soprattutto sulle prime, viene quasi naturale affidarsi allo stealth, pratica spesso e volentieri obbligatoria, soprattutto quando si vuole evitare una pesante e mortale inferiorità numerica. Con il campo visivo dei nemici sempre ben visibile, nascondersi dietro agli ostacoli, per poi cogliere di sorpresa le sentinelle si rivela una tattica utilissima.
Quando scoperti, o negli scontri con i boss, tuttavia, riemergono prepotentemente i limiti di un combat system che si affida a pochi tasti, che non concede tattiche alternative all’utente, in cui spesso è richiesto un tempismo eccessivo.
Eppure si fa fatica a bocciare in toto il gameplay di Soulblight. Sì, perché tra livelli generati casualmente, che finiscono per somigliarsi tutti, e un art design tutt’altro che ammaliante, gli sviluppatori si sono inventati un paio di feature davvero niente male, che donano alla loro creatura un inedito ed inaspettato retrogusto di tatticismo.
Ogni abilità appresa, ogni tratto che si andrà ad aggiungere alle caratteristiche del personaggio, ogni item utilizzato, difatti, porta con sé bonus e malus in egual misura. Uno spadaccino affamato è uno spadaccino meno efficiente, ma un boccone avvelenato può causare seri problemi di deambulazione. L’abilità berserker torna utile quando si fronteggiano nemici particolarmente forti, ma combattere con un gran numero di ferite, condizione necessaria per sfruttare il potere, rende ogni movimento ancora più difficile e lento.
Si tratta di valutare continuamente i pro e i contro, consapevoli che non c’è mai un beneficio, senza un prezzo. Persino l’assenza di una barra della salute di stampo classico, sostituita da una serie di indicatori che segnalano lo status del personaggio, costituisce l’ennesimo fattore da interpretare, fonte ulteriore di indeterminatezza.
Soulblight fornisce pochissimi indizi all’avventuriero che intende esplorare affondo il Santuario. Al di là di un combat system colpevolmente poco profondo e di una direzione artistica anonima, difetti oggettivi e innegabili, l’eventuale apprezzamento del titolo di My Next Game è vincolato dalla volontà di scendere a compromessi con un gioco che si spiega molto poco.
[caption id="attachment_184004" align="aligncenter" width="1000"] La trama non spicca certo per originalità, ma non mancano un paio di passaggi particolarmente emozionanti.[/caption]
Il meccanismo di bonus e malus, legato non solo alle abilità del personaggio, ma anche ad ogni azione, all’utilizzo di qualsiasi oggetto, è estremamente affascinante, intrigante, a suo modo originale. Tuttavia serve pazienza e voglia di sperimentare per padroneggiarlo a dovere.
Pur non essendo un capolavoro del genere, insomma, Soulblight non mancherà di sollazzare gli amanti dei roguelike, alla disperata ricerca di qualcosa di impegnativo con cui intrattenersi.