A Sort of Fairytale 3, la recensione

Abbiamo recensito per voi il terzo numero di A Sort of Fairytale, di Paolo Maini e Ludovica Ceregatti

Fumettallaro dalla nascita, ha perso i capelli ma non la voglia di leggere storie che lo emozionino.


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Il viaggio di Zoe e del suo amico Bigfoot è finalmente giunto a destinazione. Dopo essere stata separata dai genitori, la bimba ha intrapreso la ricerca dell’Avamposto 18, una delle ultime comunità sopravvissute alla distruzione del nostro pianeta; affiancata dall’abominevole mutato, ha trovato riparo e ristoro nell’oasi guidata dal Guardiano. Purtroppo per loro, il Cacciatore e i suoi predoni sono alle porte dell’avamposto, pronti a sferrare l’assalto decisivo al fine di catturare la ragazzina e impossessarsi di un oggetto che porta con sé: la mappa disegnata da suo padre, contenente le indicazioni per raggiungere un luogo nascosto, all’interno del quale sono custodite le ultime speranze di rinascita della razza umana.

Nel terzo e conclusivo albo di A Sort of Fairytale, edito da Noise Press, scopriamo la verità dietro allo “scisma” che anni prima ha spinto l’umanità verso l’apocalisse. Come in ogni fiaba che si rispetti, la trama ha uno sviluppo lineare, di immediata presa, e vede i personaggi principali divisi in gruppi distinti: da un lato i “buoni”, portatori di ordine e giustizia, fautori di oasi destinate a preservare e ripristinare la civiltà; dall’altro i “cattivi”, con il loro desiderio malato di morte e caos, intenti a depredare e distruggere ogni barlume di serenità. Nel mezzo, una bambina, il cui sguardo incantato sul mondo è alla costante ricerca del bene in ogni persona.

Nell’imbastire la sceneggiatura, Paolo Maini rifugge lo schema classico della fiaba e preferisce rielaborarne alcune peculiarità: scopriamo, infatti, che il canonico manicheismo morale non è così netto ma lascia zone grigie all’interno delle quali si muovono - a sorpresa - alcuni personaggi. Inoltre, la vicenda non ha proprio le stimmate dell’inverosimiglianza: ambientata in un futuro prossimo, la realtà di A Sort of Fairytale non è poi così lontana dal rappresentare una denuncia, delineando uno dei possibili scenari post-apocalittici verso cui ci potrebbero condurre le scelte scriteriate dei potenti.

Tra ambientazioni ucroniche e bestie mutate, resta invariata la presenza della magia ma anche della speranza, aspetto cardine attorno al quale ruota questa “specie di fiaba”. Pervasa da un forte componente positiva - che stride con le brutture della guerra presenti nella storia, creando così una dicotomia riuscita e funzionale - il racconto ha una morale nitida: tener viva la speranza di un futuro migliore, di poter invertire la rotta e di eludere l’orrido abisso che attende una società guerrafondaia e consumista.

Immergetevi nelle atmosfere vibranti dello scontro decisivo, una folle corsa in perenne bilico tra il successo e il fallimento messa in scena da Ludovica Ceregatti, anche in quest’occasione nel doppio ruolo di disegnatrice e colorista. La buona impressione fin qui destata dall'artista non viene sconfessata, sebbene non possiamo fare a meno di notare alcune sequenze in cui la concitazione degli eventi altera oltremodo le figure contribuendo a generare confusione. Come già accaduto sulle pagine di Elliot, inoltre, la disegnatrice manca di precisione nelle anatomie dei personaggi, in particolare nella definizione degli arti superiori. Sono aspetti intaccano solo in piccola parte la resa visiva generale, tenuta a galla dall'espressività con la quale la Ceregatti caratterizza i volti dei personaggi.

Giunti al termine della lettura si resta piacevolmente colpiti da A Sort of Fairytale, buon prodotto realizzato da giovani e validi autori sorretti da una realtà editoriale attenta a proporre un catalogo eterogeneo e ricco di piacevoli sorprese.

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