Sopravvissuti, la recensione

Sopravvissuti è cinema di genere dai nobili scopi civili, ma senza la capacità di esecuzione necessaria a reggere il racconto.

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La recensione di Sopravvissuti, il nuovo film diretto da Gillaume Renusson, al cinema dal 21 marzo.

Sopravvissuti è senza dubbio un film col cuore al posto giusto. Vorrebbe parlare di frontiere e di profughi, di donne in fuga da regimi autoritari e del bisogno di fare la cosa giusta anche al di là delle leggi. Peccato che sembri indeciso su come parlarne. Nelle varie schede online è descritto di volta in volta come thriller, dramma, perfino western. C’è del vero in tutti e tre i casi, ma più che un mix riuscito il prodotto finale appare sempre indeciso su che strada percorrere, col risultato di non andare mai fino in fondo nelle sue scelte. Troppo convoluto e riflessivo per convincere nell’azione violenta. Troppo legato a stilemi da survival movie fisico, immerso nella natura selvaggia e nei gesti concreti, per incidere nelle caratterizzazioni e nelle back story che sarebbero fondamentali per motivare le azioni dei personaggi.

Confine franco-italiano: Samuel (il sempre bravo Denis Ménochet) padre vedovo tormentato dal rimorso di aver causato l’incidente mortale della moglie, si rifugia in uno chalet di montagna. Qui accoglie una clandestina afgana (Zar Amir Ebrahimi) ricercata e in fuga dalle autorità italiane. Ma farle raggiungere il confine francese non sarà facile, perchè una famiglia di locali inizia a braccarli costringendoli a cercare riparo fra i boschi innevati delle Alpi.

L’intento è chiaro e lodevole, usare il cinema di genere per imbastire un racconto morale sull’accoglienza di chi proviene da contesti meno fortunati. Nella ricetta dell’esordiente Gillaume Renusson si indovinano influenze New Hollywood: il western nevoso, basato sulla lotta uomo-natura, di Corvo rosso non avrai il mio scalpo; e ancor più la presenza quasi horror degli abitanti di un mondo rurale conservatore, lontano dalla legge e dalla civiltà, che proviene da Un tranquillo weekend di paura e Non aprite quella porta,e che fa una certa impressione ritrovare qui come strumento di satira nei confronti delle politiche anti-migranti del nostro paese.

Sopravvissuti non ha però nè la forza visiva nè la solidità di scrittura necessarie a reggere il paragone. Se la parte survival è al massimo di routine, il film soffre di alcune debolezze costitutive in fase di sceneggiatura: l’idea di agganciare l’altruismo di Samuel verso la donna sconosciuta al lutto per la moglie introduce una sfumatura sentimentale intrusiva, che prima fa sospettare un inopportuno sviluppo romantico, poi (una volta scampato il pericolo) rimane come dato fine a sè stesso, giustificato solo dal bisogno di dare un background al personaggio. Stride anche la caratterizzazione dei cattivi transalpini che fanno da equivalente degli hillbillies dei film di Boorman e Hooper, dove però la violenza – al di là delle deformazioni grottesche – risultava plausibile in virtù della distanza assoluta da qualunque forma di civiltà e contatto con l’esterno. Serve un po’ di più per convincere che tre persone apparentemente normali e ben inserite possano improvvisare una caccia all’uomo (o donna) per puro odio dell’immigrato.

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