Quando
Marilyn Manson sembra il più normale della compagnia, allora ti accorgi che
Sons of Anarchy è tornato. E magari capisci anche che stavolta non sarà come le altre, che la morte di
Tara nello scorso season finale è stata l'ultima offesa, che i segreti, le tensioni, la rabbia non potranno essere contenute, e che questa storia non è mai stata tanto impossibile quanto ora. Inizia il settimo, ultimo, definitivo anno della serie di
Kurt Sutter, e capiamo immediatamente che sarà un bagno di sangue dal quale pochi usciranno vivi.
Black Widower è una première lunga – un'ora e un quarto – e cattivissima. Empatizzare con questi criminali a due ruote californiani è sempre stato facile, nonostante tutto. Nonostante i tradimenti, nonostante i segreti inconfessabili, nonostante alcune spaccature di fronte alle quali sembrava impossibile che la serie potesse sopravvivere a lungo. Ora che i compromessi sono diventati troppi, che il male compiuto è stato troppo grave per tornare ad una condizione di vago equilibrio, qualcosa sembra spezzarsi nel modo in cui percepiamo i personaggi. Per la prima volta, forse, impariamo ad odiarli.
Odiamo
Juice, ormai un pupazzo senz'anima. Il suo tentativo di suicidio nella sesta stagione non si è compiuto, ma qualcosa è davvero morto in lui. Vive della luce riflessa di chi gli sta intorno manipolandolo, si riduce ad un meschino sequestro che non potrà finire bene (certo,
Unser poteva agire in modo più discreto). Odiamo il gruppo,
Tig e gli altri. Sì, la riappacificazione con Lin e Alvarez, gli affari che ripartono e tutto il resto. Ma anche errori grossolani e momenti di violenza e idiozia evitabili in una ricerca congiunta con i Grim Bastards. Inoltre sentimenti di fratellanza e rispetto che rischiano di sfociare nella cieca obbedienza verso la leadership di
Jax, ormai trasfigurato dal lutto, l'ennesimo che ha dovuto subire.
Si può odiare anche lui, la sua miopia, la furia cieca che lo porta ad accanirsi ferocemente contro un capro espiatorio, il fatto che abbia quasi rinnegato se stesso ad un passo dalla vittoria con un discorso che, anche per scelte di regia, sà tanto di soliloquio: "I've been trying to take this club in a direction I thought made sense, to move us away from all the outlaw shit. That hasn't worked." E si può, anzi si deve odiare Gemma, che sempre di più si identifica nel personaggio di Lady Macbeth in quella enorme tragedia di ispirazione shakespeariana che è Sons of Anarchy.
Tutto questo odio, funziona? Sì e no. La première comunica bene e ferocemente il senso di imminente conclusione della storia e Sutter ormai procede con il pilota automatico giocando su uno stile che è immediatamente riconoscibile (c'è anche tempo per la solita parentesi musicale in chiusura, stavolta affidata a una cover di
Bohemian Rhapsody). C'è interesse e curiosità verso questa escalation finale, ma c'è anche il pericolo che, senza più la necessità di tenere in bilico la storia per portarla avanti, la scrittura dei personaggi si lasci andare a soluzioni troppo eccessive, anche per questa serie.