Sono Tornato, la recensione
Remake di un film tedesco, Sono Tornato scambia Hitler con Mussolini e trova nelle differenze dal testo originale la possibilità di fare molto meglio del suo modello
Luca Miniero e Nicola Guaglianone hanno scritto un film quasi identico a quello tedesco, in cui molte gag sono riprese e in cui la parte centrale mette il giornalista (Frank Matano) che scopre e valorizza il rinato Mussolini, credendo sia un comico in costume, assieme al Duce (Massimo Popolizio) per strada in una serie di interviste reali a persone comuni che in quel momento pensano di essere intervistate per una trasmissione o un documentario. Qui si gioca la parte più diretta del film, quella scritta a posteriori tramite il montaggio, che mostra, come annunciato, un paese largamente nostalgico e insoddisfatto della mollezza e dei cambiamenti del presente.
Questo contrasto rende il film, per quasi tutta la sua durata, imperfetto ma piacevole.
Se Lui è Tornato finisce come Il Gabinetto del Dr. Caligari con Hitler/Caligari che svia ogni sospetto mentre l’unico che ha capito tutto viene internato (finale perfetto considerato il legame che quel film della Repubblica di Weimar ha con le radici del nazismo), Sono Tornato invece punta su tutt’altro. Punta sul sistema mediatico italiano (già una fissa di Guaglianone in Lo Chiamavano Jeeg Robot) e su come riesca a rappresentare l’animo del paese meglio di ogni altra cosa. In questo senso è geniale il titolo e il format del reality fittizio che si vede nella chiusa, una beffa dall’ironia così sottile e raffinata che quasi stona con la grana grossa e ben più diretta del resto del film e che spinge le buone idee viste fino a quel punto un passo più avanti, nel territorio in cui un pensiero viene abbinato a delle immagini che non nascono solo per veicolarlo ma per renderlo più complesso, ampio e capace di lavorare dentro la testa dello spettatore.