Non sono quello che sono - The Tragedy of Othello di W. Shakespeare, la recensione | Locarno 76
La versione di Othello di Edoardo Leo, Non sono quello che sono, si focalizza su Iago ma non centra la fusione tra lingua e messa in scena
La recensione di Non sono quello che sono - The Tragedy of Othello di W. Shakespeare, il film di e con Edoardo Leo presentato al festival di Locarno
L’impressione è che la scelta di spingere molto sul realismo della messa in scena remi contro quel vocabolario raffinato, impedendogli la contaminazione con il poetico, l’astratto o qualsiasi dimensione altra che renda sensato il miscuglio di dialetto e lingua aulica. In parole povere: la lingua di Shakespeare è integrata e contaminata al romano ma il film non riesce ad usarla per andare altrove o creare qualcosa di nuovo come risultato. È solo stonato. Una parte della colpa sta negli attori, che dovrebbero avere un ruolo cruciale nel creare personaggi capaci di rendere credibile l'unione tra quei tagli di capelli coatti, quelle tute e quell’uso del corpo popolano e i ragionamenti, l’elocuzione e le similitudini shakespeariane. Tra tutti proprio Edoardo Leo è quello che si avvicina di più a dargli un senso (non riuscendoci comunque a pieno) mentre altri come Antonia Truppo sono fuori strada e altri ancora come Ambrosia Caldarelli non paiono proprio in grado di reggere la sfida.
È un peccato perché la trama dell'Otello sarebbe invece ben adattata, almeno fino a un certo punto. Edoardo Leo, come fa capire il titolo, si concentra su Iago (da lui interpretato) e sottolinea la sua pianificazione, la sua doppiezza, la sua scaltrezza e gli intrighi che congegna come trame criminali moderne, aggiunge un presente in cui Iago è vecchio e trasforma il racconto in un flashback (che è una buonissima idea, peccato che lo Iago vecchio non sia recitato granché bene), scegliendo anche di attenuare la conta dei morti finale. Certo nei momenti più complicati da adattare ricorre sempre alle medesime soluzioni, cioè far parlare Iago e Otello attraverso diversi salti temporali in una serie di momenti morti (mentre si spostano in macchina, guidano barche, scaricano, caricano, camminano o mangiano in un ristorante). Non sono trovate cattive ma ripetute così a lungo che finiscono per appesantire la narrazione e annullare la forza delle parole, e proprio nel momento cruciale del testo! Proponendo allo spettatore (ad un certo punto) un grosso numero di similitudini shakespeariane in fila una dopo l’altra.
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