Sono Lillo, la recensione della prima stagione

Trarre una serie dal personaggio di Posaman era impossibile, l'idea di Sono Lillo rende possibile l'impossibile, peccato che non venga seguita

Critico e giornalista cinematografico


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Recensione di Sono Lillo, disponibile su Prime Video dal 5 gennaio

Che fosse un’idea con poco senso l’aveva detto Lillo stesso nel presentare la serie. Un progetto, peraltro lungo, solo su Posaman, personaggio di successo ma non solo senza storia, anche senza niente dietro di sé e con scarse possibilità di espansione narrative, una gag più che un personaggio. Messo di fronte all’imperativo di una serie che capitalizzi il successo che questa trovata (non nuova) di Lillo ha raccolto all’interno del programma LOL, l’idea sembra essere stata quella di andare dalle parti di Birdman, cioè di raccontare una versione di finzione di Lillo in lotta con questo suo alter ego che poi rappresenta la sua anima clownesca e, più in grande, quello che il mondo dello spettacolo vuole da lui nel momento in cui lui desidera altro.

Raccontata così l’idea sembra più seria e più realistica di come non sia in realtà. Il Lillo di Sono Lillo è apertamente finzionale, non ha nessuna similitudine con quello reale ed è un personaggio più che una persona (in maniera anche più marcata rispetto a quello che fa un altro comico su Prime Video, cioè Carlo Verdone con Vita da Carlo). Con un doppio salto carpiato si potrebbe dire che il Lillo di questa serie sta a quello vero come Posaman sta al Lillo di finzione. Cioè è la versione clownesca della persona, la maschera che tutti gli chiedono. In quello si è rifugiato, in quello che sa fare bene e in quello che sa avrà successo.

Purtroppo però Sono Lillo, serie in 8 episodi tra i 20 e i 30 minuti, diretta da Eros Puglielli non è l’apice di Lillo come si poteva auspicare. La speranza era che questo attore e autore comico, che protagonista lo è stato solo in coppia con Greg, potesse avere qualcosa di realmente suo in cui dare sfogo a quel tipo di comicità fisica in cui è bravo. Invece Sono Lillo è l’opposto del prodotto deciso, vuole tenersi in equilibrio, essere divertente ma riflessivo, essere centrato su Lillo ma non scoppiare di quello che è il suo umorismo. Alla fine le risate ci sono ma sono limitate, i comprimari non sempre tenuti a bada (Sermonti tende spesso a schiacciare gli altri, Calabresi sembra un po' andare per conto suo) e l’intreccio non ha la forza che promette.

L’idea di un Birdman della comicità, cioè della storia di uno di loro costretto dall’agente e dal successo a ripetere la cosa più ridicola che ha mai fatto con la conseguente poca stima di lui che hanno le persone che gli sono intorno e che la separazione dalla compagna stimola a volere altro, non è niente male. Vuole altro Lillo, ma è subito chiaro che non è certo in grado di ottenerlo (fare l’imprenditore con i soldi di famiglia insieme al fratello inspiegabilmente bellissimo). Anche l’intuizione di una madre che lo disprezza e la gag ricorrente della famiglia che sembra non considerarlo (“Perché in questa foto incorniciata ci siete solo tu e mamma?” - “Mi pare tu non ci fossi” - “Come no? C’ero, me lo ricordo, era il mio compleanno!”) meritavano enfasi e scrittura più centrata (in capo a Lillo stesso con i collaboratori usuali Matteo Menduni e Tommaso Renzoni). Meritavano soprattutto una maggiore decisione nell’esplorazione e nelle conseguenze dello spunto.

Del resto proprio in tutto Sono Lillo aleggia l’aria della serie che fa il punto sulla comicità. Ogni puntata ha un ospite speciale che oscilla tra un comico della generazione di Lillo (Caterina e Corrado Guzzanti in primis) e alcuni degli stand up comedian italiani più noti (da Edoardo Ferrario a Stefano Rapone), che in un locale in cui si esibiscono interagiscono con il proprietario (Paolo Calabresi) costretti a sorbirsi i suoi orribili consigli per migliorare. Però anche qui, l’intenzione è chiara, coerente è molto ben strutturata (anche considerato che siamo su Prime, piattaforma che più di qualunque altra in Italia punta sulla comicità vecchia e nuova) ma non va a fondo, non ha molto da dire o se ce l’ha non riesce a dirlo davvero.

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