Sono Lillo, la recensione della prima stagione
Trarre una serie dal personaggio di Posaman era impossibile, l'idea di Sono Lillo rende possibile l'impossibile, peccato che non venga seguita
Recensione di Sono Lillo, disponibile su Prime Video dal 5 gennaio
Raccontata così l’idea sembra più seria e più realistica di come non sia in realtà. Il Lillo di Sono Lillo è apertamente finzionale, non ha nessuna similitudine con quello reale ed è un personaggio più che una persona (in maniera anche più marcata rispetto a quello che fa un altro comico su Prime Video, cioè Carlo Verdone con Vita da Carlo). Con un doppio salto carpiato si potrebbe dire che il Lillo di questa serie sta a quello vero come Posaman sta al Lillo di finzione. Cioè è la versione clownesca della persona, la maschera che tutti gli chiedono. In quello si è rifugiato, in quello che sa fare bene e in quello che sa avrà successo.
Purtroppo però Sono Lillo, serie in 8 episodi tra i 20 e i 30 minuti, diretta da Eros Puglielli non è l’apice di Lillo come si poteva auspicare. La speranza era che questo attore e autore comico, che protagonista lo è stato solo in coppia con Greg, potesse avere qualcosa di realmente suo in cui dare sfogo a quel tipo di comicità fisica in cui è bravo. Invece Sono Lillo è l’opposto del prodotto deciso, vuole tenersi in equilibrio, essere divertente ma riflessivo, essere centrato su Lillo ma non scoppiare di quello che è il suo umorismo. Alla fine le risate ci sono ma sono limitate, i comprimari non sempre tenuti a bada (Sermonti tende spesso a schiacciare gli altri, Calabresi sembra un po' andare per conto suo) e l’intreccio non ha la forza che promette.
Del resto proprio in tutto Sono Lillo aleggia l’aria della serie che fa il punto sulla comicità. Ogni puntata ha un ospite speciale che oscilla tra un comico della generazione di Lillo (Caterina e Corrado Guzzanti in primis) e alcuni degli stand up comedian italiani più noti (da Edoardo Ferrario a Stefano Rapone), che in un locale in cui si esibiscono interagiscono con il proprietario (Paolo Calabresi) costretti a sorbirsi i suoi orribili consigli per migliorare. Però anche qui, l’intenzione è chiara, coerente è molto ben strutturata (anche considerato che siamo su Prime, piattaforma che più di qualunque altra in Italia punta sulla comicità vecchia e nuova) ma non va a fondo, non ha molto da dire o se ce l’ha non riesce a dirlo davvero.