Sono innocente, di Fritz Lang | Venezia Classici 2020 @ Cinema Ritrovato
In Sono innocente non ci può essere redenzione di alcun tipo: un criminale rimarrà sempre un criminale per chi lo guarda
Considerato uno dei primi noir statunitensi, Sono innocente è la parabola discendente di Eddie Taylor – un Henry Fonda portato al limite della nevrosi - ex galeotto che dopo aver scontato la pena è libero di tornare in società. Deciso a ricostruirsi una vita insieme alla fidanzata Joan (Sylvia Sydney), Eddie esprime la volontà di agire nei limiti della legge, comunitaria e anche divina: e proprio padre Dolan infatti, oltre alla fidanzata è l’unico che ha fiducia in lui, nel suo futuro operato. Ma Eddie Taylor è un uomo segnato, e non per una certa morale manichea che dice che chi nasce cattivo muore cattivo: a differenza infatti dei vari gangster che avevano affollato le sale cinematografiche negli a inizio decade (da Hawks a Wellmann passando per LeRoy), Eddie Taylor è invece presentato come un good man che, nonostante i suoi errori passati e la sua volontà di redimersi, è costretto invece dalla società a ritornare verso il crimine. È una questione di sfumature, ma cambia completamente il messaggio e l’audacia di Fritz Lang nell’averlo potuto trasmettere (il film fu tagliuzzato dalla censura ma rimane comunque chiaro nei suoi intenti).
Il dramma assoluto di Henry Fonda in Sono innocente, fragile come non mai nella sua performance (Lang gli fece rigirare le scene svariate volte non perché non andassero bene ma proprio per stremarlo e portarlo al punto di rottura) è allora estremamente vicino a quello di Spencer Tracy in Furia: è il dramma dell’innocente che per provare la sua non-colpevolezza è obbligato ad agire nell’illegalità. È la morte dell’autodeterminazione, e quindi dell’american dream (che su questa in primis si basa). E se in Furia vi era nel finale uno spiraglio di positività, il protagonista aveva comunque dovuto ammettere e chiedere perdono per le cattive azioni intraprese per difendersi, in una orazione davanti a quella stessa massa che lo aveva condannato. In Sono innocente invece non ci può essere redenzione di alcun tipo: un criminale rimarrà sempre un criminale per chi lo guarda (ovvero i personaggi anonimi che lo circondano, non per chi gli è vicino né per Lang) e la sua ammonizione sarà continua, fino a che non sarà definitiva: sicura come la morte.
Nota: l'autore dell'articolo lavora presso la Cineteca di Bologna