Solos: la recensione

Solos era certamente una serie che puntava in alto, per questo il suo fallimento suona ancora più grave

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Solos: la recensione

Il più grave problema di Solos, quello da cui discendono tutti gli altri, è che crede di essere molto più profondo di quello che è. In uno dei peggiori mix possibili per una storia, una seriosità dichiarata incontra una superficialità di contenuti. Spiazzante come il grande cast di attori noti che è stato messo insieme per questo esperimento antologico, Solos sorprende per la sua mancanza di spunti, per lo strazio dei suoi personaggi, per il melodramma urlato. Ma sono solo grida e lacrime che risuonano nel vuoto dei concetti esposti e delle storie raccontate. Teatralità fine a se stessa, che più cerca la lacrima e più indispone.

Solos è una serie antologica prodotta da Amazon Studios e distribuita dalla piattaforma Prime Video. È composta da sette puntate slegate tra di loro, ognuna dedicata a un personaggio di cui porta il nome. Il cast è a dir poco imponente, e forte è il déjà vu di altre serie antologiche arrivate sulla piattaforma come Modern Love e The Romanoffs: Anthony Mackie, Helen Mirren, Morgan Freeman, Anne Hathaway, Uzo Aduba, Constance Wu, Dan Stevens e Nicole Beharie. Ogni puntata si svolge in un ambiente unico e prevede uno o al massimo due personaggi. Talvolta si tratta di monologhi, altre volte di dialoghi con delle intelligenze artificiali. Il punto in comune, oltre allo spunto fantascientifico che torna sempre, è la componente molto drammatica di queste storie.

È evidente che David Weil, già autore della serie Hunters, volesse realizzare qualcosa di molto ambizioso. Almeno da un punto di vista dell'impatto emotivo, ammesso che questo voglia dire qualcosa. Le puntate durano meno di mezz'ora, ogni punto morto è stato limato via, tutta l'attenzione incentrata sulle parole di un personaggio che si racconta senza filtri. Sono dialoghi o monologhi che iniziano sempre quieti, per quanto alcuni ambienti potranno apparire particolari (una navicella, un rifugio nel bosco, un laboratorio). Il tono del dialogo procede sempre per accumulo di tensione, con sempre più sporadici ritorni alla calma. E tutto culmina in un pianto, una confessione, un dolore fortissimo raccontato a parole. La musica è un crescendo, il tono si fa sempre più enfatico, la puntata ci chiede di piangere con il personaggio. Solos era certamente una serie che puntava in alto.

Per questo il suo fallimento suona ancora più forte. In pochi minuti, ogni episodio pretende di raccontare un'individualità straordinaria di per sé. Per farlo si priva di qualunque sottigliezza, di qualunque lavoro di sguardi, gesti, azioni. Per non parlare dei retroscena, che ci verranno tutti raccontati a parole (Solos potrebbe essere fruito anche come audio drama e non cambierebbe molto). Ciò che esiste sono solo le parole, palesi, urlate, letterali, senza filtri di tutti i personaggi. In un totale abbandono di quei tratti particolari, anche respingenti, che costituiscono lo scheletro della straordinarietà di ogni personaggio, Solos si lascia andare ad un generico catalogo di umanità. Ognuna con i suoi traumi, anche pesanti, per non lasciare nulla al caso: morti violente, abbandono, malattia. Ognuno narrato come una casella da spuntare.

Gli attori e attrici, tutti straordinari e di grande livello, chiamati qui a chiedere empatia con frasi e gesti teatrali e sguardi deformati dal pianto. Ogni momento raccontato come se fosse straordinario e fondamentale, ogni frase come se fosse la più importante mai pronunciata. La visione è sfiancante, ma non per i motivi cercati dalla serie. Va da sé che anche dal punto di vista della fantascienza non c'è nulla da segnalare: è solo l'ennesima serie antologica che sfrutta spunti tecnologici senza capire la lezione del miglior Black Mirror.

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