Sole a catinelle, la recensione
Il terzo film di Checco Zalone è quello più coerente e pare il più pianificato. Non più un collage di gag irriverenti a caso, ma una serie di battute tematiche...
Per il suo terzo film Checco Zalone va dritto al punto e per la prima volta mette il tema sociale (anzi socio-economico) al centro della storia. Più che una notazione cronachistica questa è l'unica rottura nello schema e nel linguaggio della commedia "da-comico-televisivo" che si nota in Sole a catinelle. Mentre di solito film di questo tipo puntano alla struttura della commedia romantica innocua, relegando un'idea di attualità al massimo ad un paio di battute (del resto questo accadeva anche nei precedenti film di Zalone), Sole a Catinelle mette un imprenditore pieno di ottimismo e debiti, fiducioso della sicurezza dei suoi assegni postdatati, dei suoi finanziamenti e del fatto che tanto nessuno riuscirà mai davvero a fargli pagare i suoi debiti, nella solita girandola sentimentale. E' però il figlio questa volta il cuore romantico del film e, per fortuna, molto meno calcato del solito.
Del resto è questa la forza maggiore della comicità di Zalone: girare intorno a temi e gag abbastanza note con sufficiente originalità da riuscire a strappare "ancora un'altra risata sull'argomento". E così procede tutto il film, concentrato solo sul protagonista e le sue battute e sulla sua capacità di trovare nel già noto qualcosa di ancora divertente (il resto dell'immagine sembra essere posta a caso, senza cura, senza pianificazione, con indicazioni vaghe date controvoglia a comparse e scenografi, costumisti e elettricisti).