Tutti i Soldi del Mondo, la recensione

Un po' lungo, troppo prolisso e tempestato di momenti poco riusciti, Tutti i Soldi del Mondo si basa però su un'idea fortissima: l'assenza del protagonista

Critico e giornalista cinematografico


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Il protagonista di Tutti i Soldi del Mondo non c’è quasi mai. È John Paul Getty Sr., il magnate del petrolio, negli anni ‘70 ormai uomo più ricco che a quell’epoca la storia avesse conosciuto, incredibile risparmiatore, portafogli di ferro, cuore di ghiaccio. A lui hanno rapito il nipote quasi omonimo (John Paul Getty Jr.) nella speranza di spillargli 17 milioni. Illusi. Getty non vuole pagare niente, si tenessero il nipote! Non la pensa così la madre ovviamente, che non fa Getty di cognome e non ha un soldo, lo stesso è determinata a lottare e mediare tra rapitori calabresi (e poi siciliani) e vecchio potente per riavere il figlio.

In questo film che dovrebbe averlo al centro, Getty Sr. si vede raramente, a tratti, compare e riscompare, è più lontano che presente. Tutto è giocato sui comprimari, ovvero le pedine che si agitano cercando di ottenere quel che vogliono consci che di una cosa sola hanno bisogno, dell’approvazione del grande assente.

È un’idea molto forte, che ribalta i soliti assunti del cinema di rapimento, in cui la convenzione vuole che i protagonisti siano i genitori del rapito, distrutti d’ansia, macerati dall’ingiustizia, non ascoltati dalla legge e pronti letteralmente a tutto. Qui quel personaggio c’è, è Michelle Williams (un'attrice con una continuità incredibile, sempre al suo posto, sempre impeccabile), ma il suo dramma per quanto presente è marginale. Centrali sono questi soldi della famiglia Getty, quelli che distruggono tutto non appena li si tocca come fossero veleno. È andata così al padre di Getty Jr., prima individuo equilibrato poi disperato drogato non appena ha avuto il denaro, è andata così a Getty Jr., che è finito rapito, e al personaggio di Mark Wahlberg, ex agente CIA ora intermediario e uomo di fiducia di Getty Sr. che pare aver perso la via. L’unico che sopravvive, magro, emaciato e consumato come Gollum dall’anello è lui, il magnate, che i soldi non li vuole toccare (si scopre alla fine per quale diabolica idea manageriale) ma che accumula beni come Charles Foster Kane, con trattative terribili.

Allora pare davvero appropriato il titolo di questo film che alla fine proprio di quei soldi parla, che tramite l’intreccio di un rapimento e di una trattativa che dura come il film in realtà espone il potere di una massa simile di denaro, come abbia una specie di vita propria e sia superiore alle intenzioni e alle volontà di tutti, anche del suo padrone. La ricchezza sconfinata come entità a sé. E non a caso si respira l’aria della disinfestazione avvenuta, o dell’esorcismo terminato, nel momento in cui il denaro viene ereditato (come noto) dalla nuora.

È un’idea niente male, peccato che non sempre il film di Ridley Scott sia alla sua altezza. Troppo lungo e rallentato, come purtroppo spesso capita a questo regista, troppo grossolano nella sindrome di Stoccolma con i rapitori calabri (un implausibile Roman Duris che il doppiaggio italiano, per quanto pessimo, salva dalla straniante pronuncia), troppo malinconico senza motivo, Tutti i Soldi del Mondo sembra girare davvero solo quando il magnate è inquadrato, con quel sorrisaccio sardonico e l’espressione da cui è impossibile capire cosa pensi o provi davvero.

Kevin Spacey, sostituito all’ultimo secondo e a tempo di record da Christopher Plummer in una quantità impressionante di scene rigirate (e in un pugno in cui digitalmente è stata applicata la faccia di Plummer sul corpo di Spacey), in uno degli sforzi produttivi più incredibili che si ricordino, è ancora presente in almeno una scena, ma sono dettagli da maniaci, la sostituzione è praticamente perfetta e ha la non banale conseguenza di isolare ancora di più Getty. Plummer è raramente nella stessa inquadratura degli altri attori, anche quando parlano insieme. Necessariamente si è optato per avere quasi sempre campi e controcampi, così da poter rigirare solo le parti di dialogo dell’attore senza rifare anche le battute dell’interlocutore. Inquadrato quasi sempre da solo, Getty Sr. è davvero distante, lontano, in un altro mondo che dice cose senza senso (“Al momento non ho la disponibilità di denaro che serve”), professando poi amore per i propri nipoti. Un servo del denaro.

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