Snowpiercer, la recensione
Classe 1971, ha iniziato a guardare i fumetti prima di leggerli. Ora è un lettore onnivoro anche se predilige fumetto italiano e manga. Scrive in terza persona non per arroganza ma sembrare serio.
L'Editoriale Cosmo, anche se giovane realtà del mercato italiano, conosce bene le meccaniche che muovono questo mondo e che sono le stesse ovunque. Lo dimostra l'uscita di pochi giorni fa in edicola e fumetteria di Snowpiercer. L'opportunismo giustifica la scelta del titolo, quello inglese dell'adattamento cinematografico e non dell'originale francese, Le Transperceneige. Con encomiabile tempismo infatti la casa editrice emiliana ha pubblicato il graphic novel pochi giorni prima dell'arrivo nelle sale, il 27 di febbraio, dell'attesissimo, omonimo film sud-coreano, tratto da questa bande desinée, diretto dal regista coreano Joon-ho Bong, che presto recensiremo e metteremo a confronto con il fumetto nella nostra rubrica Comic Versus (stay tuned!).
Il racconto è quello di un futuro distopico, post apocalittico, in cui l'ennesima follia bellica ha trasformato la Terra in un inferno di ghiaccio, le cui temperature impossibili per qualunque creatura hanno bandito la vita per sempre. L'uomo resiste ancora, grazie al suo ingegno, a bordo di un treno ipertecnologico, lo Snowpiercer, che nel secondo e terzo episodio si scopre non essere l'unico esistente. La sola speranza della nostra razza è che il convoglio non si arresti mai, alimentato da una macchina che simula quasi alla perfezione il leggendario moto perpetuo. L'inerzia significherebbe la fine, l'essere inghiottiti dal gelo abissale della “morte bianca”.
Sul treno, archetipo dell'era industriale rappresentativo della vita e del progresso dell'uomo, Jacques Lob prima e Benjamin Legrand poi, trasferiscono tutto il nostro mondo; le strutture e le sovrastrutture, ricostruendo la nostra società in toto, incrostata e minata quasi geneticamente sembrano suggerire, da menzogna, vizio, opportunismo e soprattutto egoismo. Anche nell'epoca più drammatica e disperata in cui sono a rischio i pochi sopravvissuti della nostra specie, non sono né la ragione, né il cuore a guidare le loro scelte e i loro passi. In questo sferzante affresco della miseria umana, in questo terribile, pessimistico spaccato della civiltà occidentale, gli autori riflettono nello specchio deformato della finzione l'orrore a cui rischiamo sempre più di assomigliare, la fine che ci attende se non sapremo vincere o fuggire una volta per tutte quelle forze e quelle pulsioni che sembrano dominare incontrastate questi nostri giorni.