Sneakerentola, la recensione

Con il massimo dell'esaltazione per diversità, località e talento, Sneakerentola non modernizza Cenerentola, la stravolge e così perde senso

Critico e giornalista cinematografico


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La recensione di Sneakerentola, dal 13 maggio su Disney+

Se guardando Sneakerentola a un certo punto, legittimamente, vi chiedete “Ma cos’è?” la risposta giusta dovrebbe essere “È la LinManuelMirandizzazione dei film”, ovvero la maniera in cui la Disney sta virando diverse sue produzioni verso stilemi e idee di Lin Manuel Miranda, compositore e autore di due musical di Broadway (In The Heights e Hamilton) di immenso successo, subito cooptato dalla Disney per le musiche di Oceania, Il ritorno di Mary Poppins e Encanto. Il mondo di Lin Manuel Miranda infatti è perfetto per Disney, è multirazziale ed inclusivo anche al di là del reale (Hamilton racconta un pezzo di storia degli Stati Uniti stravolgendo espressivamente le etnie dei padri fondatori) e al tempo stesso totalmente innocuo.

Così questa versione di Cenerentola, in cui Miranda non ha nessun ruolo da nessuna parte, risente totalmente delle sue opere, è una versione musicale che somiglia a In The Heights, il film tratto dal musical (specie il primo brano che celebra un altro quartiere, Astoria nel Queens) che scambia il genere dei personaggi (il protagonista è un ragazzo che ambisce a entrare nel mondo dei magnati delle scarpe da ginnastica tramite un importante evento) e propone una realtà la più etnicamente variegata possibile.

Il problema è che nel fare tutto questo i tratti più interessanti di Cenerentola ne escono anestetizzati (i fratellastri non sono nemmeno lontanamente meschini come le sorellastre, per non parlare del patrigno) senza che al loro posto venga iniettato nulla di altrettanto interessante. E se a Cenerentola si leva quell’idea di donna vessata in attesa di un redenzione tramite la valorizzazione di sé, per metterci il sogno di un designer, non è che il risultato possa essere lo stesso…

Anche l’utilizzo delle sneaker e soprattutto della sneaker-culture moderna sembra più un’idea modaiola che una narrativa, perché al di là di fornire una cornice diversa e contemporanea non è nulla se non il solito pretesto per sostituire la struttura a classi della favola con la gerarchia del successo americano, quella che vuole che in cima ci sia la nobiltà di chi è un vincente e in fondo la marmaglia dei perdenti (i fratellastri che vogliono spostarsi da New York al più marginale New Jersey) e di quelli con un talento grande che deve essere scoperto e valorizzato.

E forse qui c’è l’unico dettaglio che ha un minimo senso, cioè che per la seconda volta dopo Frozen (vero araldo di una nuova era) per la Disney la ragazza è la parte potente della coppia. È lei quella con i soldi e il potere decisionale che può valorizzare o tenere ai margini il ragazzo. Sarà lei a concedergli di poter realizzare il suo sogno dopo aver stabilito l’esistenza di un amore e la sua onestà d’animo. Un uomo che accede all’empireo dei designer di scarpe per concessione di una donna.

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