Snake Eyes: G.I. Joe - Le origini, la recensione

Imitando i franchise maggiori anche G.I. Joe sceglie un personaggio, Snake Eyes, per quello che annunciano come il primo di vari prequel

Critico e giornalista cinematografico


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Snake Eyes: G.I. Joe - Le origini, la recensione

C’è una pietra magica che rimane a mezz’aria in una specie di contenitore nascosto dietro una parete che si apre a iride solo dopo aver verificato il DNA di chi la vuole aprire. C’è un castello da Giappone feudale ma pieno zeppo di tecnologia più futura di quella attuale. Poi in giardino c’è una voragine costruita dall’uomo, senza scale, cadendo nella quale si accede ad un’arena in cui un apposito meccanismo apre delle grate da cui escono dei pitoni giganteschi “vecchi quanto il tempo”.

Forse la parte più interessante di Snake Eyes è la planimetria del castello in cui si svolge una buona parte dell’azione e la storia della sua costruzione. Di sicuro un prequel sul castello sarebbe più originale di un film che invece, per il resto, sta molto attento a non muoversi in un territorio che non sia stato già battuto da un milione di altri film. E di farlo peggio di tutti.

Lo si vede molto bene nelle parti di investigazione. Il protagonista infatti ha visto il padre morire per mano di un assassino da piccolo e da grande è ancora ossessionato da quell’evento, ha imparato le arti marziali ed è diventato un combattente per trovare quell’uomo. Quando finalmente ne ha l’occasione dovrà fare il doppio gioco in una importante famiglia giapponese (quella del castello feudale con tecnologie avanzate e boa giganti) per guadagnarsi il diritto ad avere la testa dell’assassino. Nella famiglia qualcuno sospetta di lui e lo pedina. E quelle sono proprio le parti terribili, in cui Snake Eyes rivela tutte le difficoltà nel muoversi un po’ fuori dai suoi modelli che già sono terra terra.

E non va meglio quando è il momento di raccontare il doppio gioco, così palese che è impensabile che tutti si continuino a fidare di lui. Snake Eyes invece sembra uscire da ogni problema e risolvere ogni situazione tirando in ballo filosofia orientale un tanto al chilo, mescolata ai principi dei clan mafiosi italoamericani con una coperta di individualismo americano poggiata sopra. Tutto unito dal concetto di onore, spiegato e rispiegato di continuo (mentre perché la pietra al centro delle ossessioni di tutti fluttui nel buco nel muro tutto foderato di carta da parati in cui l’hanno messa nessuno lo spiega mai).

Il punto è che Snake Eyes è un fumettone, è tutto stilizzato e sacrifica ogni cosa nella creazione di un mondo unico e personale, che poi unico non lo è proprio per niente (basti vedere la Tokyo fatta di neon). Le regole visive contano più di quelle logiche, l’unione di tradizionale e modernissimo è la cosa più importante. Che è anche un principio corretto per l’action moderno, solo che poi l’azione lascia molto a desiderare. È totalmente priva di una sua narraziona interna (eccezion fatta per il confronto finale con il grande villain) e sembra più che altro di assistere ad una serie di allenamenti più che a dei combattimenti all’interno di una storia.

Tutto sarebbe finalizzato ad essere un prequel della saga G.I. Joe e quindi denso di indizi e riferimenti ma la modestia del film si riflette anche sulla modestia della funzione di prequel. Il personaggio in questione ha una caratteristica sola: è misterioso e non parla praticamente mai, qui non capiamo perché.

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