Smile 2, la recensione: un sequel che supera l’originale in ambizione e terrore
Nel secondo capitolo della saga di Smile, Parker Finn amplia l'universo della maledizione con un cast più ricco e una storia più ambiziosa
Il dibattito ora è: era meglio il primo con protagonista la Dottoressa Rose Cotter o questo sequel con al centro la Popstar Skye Riley?
Parker Finn ha creato dunque un franchise e non intende fermarsi. In questo secondo capitolo incontriamo di nuovo la maledizione del film del 2022: se assisti a un atto di puro autolesionismo da parte di qualcuno posseduto, poi quello spirito sardonico si trasferisce in te con incubi e istigazioni al suicidio. E sono dolori e “sorrisoni”, perché “esso” si manifesta con l'esagerata espressione di contentezza che mostrerebbe anche un Joker. Stavolta la malcapitata è una cantante con parecchi traumi legati al passato (lo spirito è attratto da essi?), in cerca di riaffermarsi come popstar. Il suo nome è Skye Riley ed è interpretata dalla brava Naomi Scott. È circondata da pressioni, sensi di colpa, ricordi di ex defunti, una madre manager impegnativa, dipendenza droghereccia e tanti “sorrisoni” falsi che potrebbero nascondere il demone (ottima idea giocare sull'ipocrisia dell'industria musicale). Parte a questo punto un horror più costoso del primo Smile (28 milioni di dollari rispetto ai 17 dell'opera prima), più ambizioso in termini di saga, con una sceneggiatura più articolata rispetto al film del 2022.
La sensazione è che il demone che possiamo ribattezzare “sorrisone” abbia appena cominciato la sua saga. Se Parker Finn sarà in grado di proseguirla con coerenza e idee interessanti, lo capiremo probabilmente dal terzo, ineluttabile, capitolo del franchise.